Clan mafioso pronto alla guerra| Sette condanne a Porta Nuova - Live Sicilia

Clan mafioso pronto alla guerra| Sette condanne a Porta Nuova

I sette condannati

Il processo riguardava la reazione all'omicidio di Giuseppe Di Giacomo.

PALERMO – L’impianto accusatorio supera il vaglio dei giudici d’appello. Sono stati tutti condannati i presunti affiliati al clan di Porta Nuova. Erano pronti a dare vita a una stagione di sangue. Dal carcere Giovanni Di Giacomo progettava la vendetta per l’assassinio del fratello Giuseppe, morto ammazzato alla Zisa.

Queste le condanne inflitte: Giovanni Di Giacomo (12 anni, confermata), Tommaso Lo Presti, classe 1975, detto ‘il pacchione’ (12 anni, confermata), Emanuele Vittorio Lipari (10 anni, due in meno del primo grado) Onofrio Lipari (10 anni e 8 mesi, confermata), Nunzio Milano (10 anni, due in meno del primo grado), Marcello Di Giacomo (8 anni e otto mesi), Stefano Comandè (8 anni) e Francesco Zizza (8 anni).

Furono tutti fermati nell’aprile 2014 dai carabinieri del Nucleo investigativo del Comando provinciale di Palermo. Giovanni Di Giacomo aveva ricevuto un telegramma in carcere. Il mittente era il fratello Marcello: “Caro Gianni la salute del bambino tutto bene in unico abbraccio ti vogliamo bene”. Secondo gli investigatori, era il via libera alla vendetta.

Dopo l’arresto di Alessandro D’Ambrogio, considerato il leader del mandamento di Porta Nuova, Giuseppe Di Giacomo aveva scalato le posizioni di potere, forte della parentela con il fratello, storico componente del gruppo di fuoco di Pippo Calò. La sua ascesa fu frenata con il piombo. Il delitto è ancora irrisolto.

Giovanni Di Giacomo ordinò al fratello di riferire a Tommaso Lo Presti, che nel frattempo sarebbe tornato a comandare, di uccidere i Lipari, perché è su di loro che erano caduti i sospetti “… si preparano fanno l’appuntamento e mentre c’è il discorso fanno bum bum e s’ammogghia tutto”. Lo stesso Lo Presti che, ipotizzando il più classico dei voltafaccia, potrebbe avere “tradito” i Di Giacomo. Almeno così ha raccontato Vito Galatolo.


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