Soldi e potere a Porta Nuova| Cosa c'è dietro l'omicidio Dainotti - Live Sicilia

Soldi e potere a Porta Nuova| Cosa c’è dietro l’omicidio Dainotti

La scalata al potere, lo scontro coi boss e le scarcerazioni: il delitto della Zisa ai raggi X.

Mafia, Palermo
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PALERMO – Si spara a Palermo, alla vigilia del 25^ anniversario della strage di Capaci. Muore un boss della vecchia mafia che non si rassegnava a ricoprire un ruolo secondario. Giuseppe Dainotti era tornato libero due anni e mezzo fa. Miracolosamente scampato a un ergastolo definitivo per una complicata questione di calcolo di pena, nulla ha potuto contro il piombo dei killer.

Di nuovo libero, dopo 25 anni trascorsi in cella. Forse Dainotti ha sbattuto i pugni sul tavolo. Pretendeva soldi e potere, anche a titolo di risarcimento per la detenzione. Appena uscito dal carcere avrebbe cercato di farsi largo. Lo hanno stoppato con un’esecuzione.

Gli hanno sparato diversi colpi di pistola di grosso calibro, forse una 357 magnum o una calibro 44. Uno lo ha raggiunto al centro del petto. Dainotti ha perso il controllo della bicicletta con cui stava raggiungendo il bar che porta il suo cognome, in corso Alberto Amedeo. Gli schizzi di sangue sull’asfalto hanno disegnato la traiettoria del suo corpo scivolato lungo l’asfalto fino al punto dove i killer, uno o forse due, hanno esploso il colpo di grazia alla testa.

Al momento non ci sono testimoni, eppure in via D’Ossuna, la strada che collega piazza Ingastone a corso Alberto Amedeo, alle 8 del mattino doveva pur esserci qualcuno. Ci sono dei testimoni che raccontano di avere sentito il tonfo dei colpi di pistola. Nulla di più. Ma il lavoro degli agenti della Squadra mobile e dei carabinieri del Nucleo investigativo prosegue.

L’omicidio di Dainiotti sembra un fatto interno a Porta Nuova, ma non si esclude che la vicenda possa avere interessato anche altri mandamenti. La vittima, nel suo tentativo di scalare di nuovo le posizioni di vertice, probabilmente aveva cercato alleanze altrove, ripescando nei contatti del passato. Forse aveva cercato sponda con qualcun altro che, come lui, era stato di recente scarcerato. A proposito, proprio nel mandamento di Porta Nuova, di cui il rione Zisa fa parte, sono tornati liberi due pezzi grossi di Cosa nostra. Si tratta dei fratelli Gregorio reuccio e Tommaso Di Giovanni. Il primo ha finito di scontare la pena, per il secondo sono decorsi i termini di custodia cautelare. In passato, prima di essere arrestati, si sono passati il testimone di reggente del mandamento. Su Gregorio pesa il sospetto, non divenuto accusa, che possa essere stato il mandante dell’omicidio dell’avvocato Enzo Fragalà. Un possibile mandante, neppure si può usare la parola presunto, a piede libero. Qualcuno, a Porta Nuova, potrebbe avere sottolineato la sua “scomoda” posizione.

Ad avercela a morte con Dainotti era soprattutto Giovanni Di Giacomo, che oggi pare caduto in bassa fortuna, segnato dall’ergastolo, dalla morte di Giuseppe e dall’arresto dell’altro fratello, Marcello. Per via di alcuni vecchi rancori nel 2013 aveva dato mandato al fratello Giuseppe di eliminare “il traditore”. Solo che pochi mesi dopo fu Giuseppe a trovare la morte, crivellato di colpi alle sette di sera. Giovanni Di Giacomo suggeriva al fratello di cercare alleati per l’omicidio e di prepararsi alla possibile reazione di Tommaso Lo Presti, nipote di Dainotti. Questo è il nodo cruciale dell’indagine. Hanno colpito lo zio e, dunque, anche il nipote?

A dire il vero, leggendo fra le recenti carte giudiziarie, sembrerebbe che neppure con Tommaso Lo Presti corresse buon sangue. A giudicare da quanto Giuseppe Di Giacomo raccontava al fratello, il nipote non voleva avere a che fare con la moglie di Dainotti alla quale faceva pervenire, senza consegnarglieli direttamente, i soldi che spettano ai familiari dei detenuti. Un altro episodio di frizione familiare si era percepito intercettando Tommaso Lo Presti e la moglie Teresa Marino. Si parlava di una somma di denaro consegnata alla famiglia Dainotti che, però, aveva negato di averla ricevuta.

Dainotti, nel suo periodo di libertà, era riuscito ad attorniarsi di uomini fidati che oggi potrebbero vendicarsi. Qualcuno lo aveva assoldato, ma non è detto che reagisca. E Lo Presti? Un dato è certo: l’ex reggente, che tutti a Porta Nuova chiamano il pacchione, è in carcere assieme ai tanti uomini che lo hanno seguito. Compreso Paolo Calcagno, considerato l’ultimo reggente di Porta Nuova prima che qualche pezzo grosso non tornasse in libertà.


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