Caffè concerto, il sogno infranto |"Non sono più gli anni Novanta" - Live Sicilia

Caffè concerto, il sogno infranto |”Non sono più gli anni Novanta”

"Gli anni Novanta non ci sono più - affermano - ma basterebbe una nuova visione per fare della musica volano di economia".

parlano i professionisti
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CATANIA – Tutti parlano di loro, del loro lavoro, di quanto erano bravi e unici negli anni Novanta e di come Catania fosse all’epoca la Seattle d’Italia. Oggi di loro si sente parlare appena, se non nel circuito artistico e musicale, o quando arriva la stagione dei cosiddetti Caffè concerto, una delle iniziative che realizzò nei primi mandati il sindaco Bianco e che le varie amministrazioni tentano di riproporre ogni anno. Non riuscendoci, però, quasi mai.

I musicisti che hanno fatto della città etnea uno dei fulcri delle produzioni indipendenti – molti dei quali hanno giustamente fatto carriera lontano dalla terra sicula – dovrebbero essere i primi beneficiari della stagione dei Caffè concerto, ideata proprio per dare spazio agli artisti made in Catania, eppure rimangono esclusi dalla dialettica – più che altro una guerra combattuta a colpi di ordinanze e comunicati stampa, di proteste e richieste – tra esercenti e residenti e, sullo sfondo, l’amministrazione comunale che, come ogni anno, regolamenta il tutto con apposita delibera. Sulla cui bontà  però ci sono alcuni dubbi, proprio tra gli addetti ai lavori.

“È impropria e inadeguata – commenta Debora Borgese, cantante e musicista etnea – perché evidenzia il livello di analfabetismo musicale nazionale al quale questa amministrazione non sfugge, senza il minimo sforzo di migliorare attraverso il confronto con gli esperti di settore. Il divieto all’uso delle percussioni è la prima assurdità – spiega: esistono percussioni che necessitano di essere amplificate anche quando altri strumenti suonano in acustico, cioè senza essere amplificati. Ma poi la generalizzazione è ridicola: anche il pianoforte, pur essendo un cordofono, appartiene alla categoria delle percussioni”.

La Borgese evidenzia altre “pretese” che considera “assurde” ma, soprattutto, sottolinea l’atteggiamento, verso la musica e verso i musicisti. “Nell’immaginario collettivo sono etichettati come “perditempo” – dice – e non lavoratori professionisti, esattamente come gli operatori dello spettacolo in generale, sebbene possano vantare titoli e un background notevole di esperienze e riconoscimenti di prestigio. L’amministrazione comunale certamente non viene incontro a quelle che sono le nostre esigenze e necessità, anche in virtù di questo fatto oggettivo, e lo dimostra proprio la delibera per il caffè concerto”.

Borgese non nega che siano per primi i musicisti professionisti a voler riprodurre l’ambiente musicale che si era instaurato negli anni Novanta, ma sostiene si debbano programmare nuove misure sia per quanto riguarda la parte artistica degli spettacoli che per quanto attiene la richiesta di mercato. “È facile prendere uno strumento in mano o scimmiottare il timbro e l’immagine di questo o quell’altro cantante di levatura internazionale, concordare date con i gestori dei locali a prezzi ridicoli (se non addirittura a titolo gratuito!) e riempire le sale con amici e parenti trascinati dall’entusiasmo e non per cultura musicale – evidenzia. L’economia musicale è cambiata. Se negli anni Novanta i pub erano vetrina per gli artisti che nella maggior parte dei casi avevano progetti musicali e discografici legati a etichette indipendenti o autoprodotti, oggi sugli stessi palchi troviamo band che dai garage dei nonni si sono imposte sul mercato. Modo di operare legittimo, ma utile esclusivamente a rimpinguare le casse dei gestori e a scapito di chi di musica dovrebbe campare essendo un professionista”.

Margini per migliorare, però, ci sarebbero. “Si può costruire qualcosa di nuovo e al passo coi tempi per tentare di correggere il tiro e conferire maggiore dignità alla musica e ai musicisti – dice Borgese. Anzi, lo dobbiamo pretendere anche per l’economia generale della nostra città. I dati parlano chiaro: il turismo musicale è in forte ascesa ormai da anni in tutta Europa. Purtroppo, in Italia vige il pensiero comune che per turismo musicale si intenda esclusivamente la programmazione di grandi eventi e rassegne, ma così non è! La musica contribuisce a valorizzare anche i luoghi esaltando la loro bellezza su altri piani sensoriali per il suo potere preponderante nel paesaggio interiore dell’ascoltatore. Basterebbe immaginare per esempio via Crociferi ben illuminata, con le facciate delle chiese e dei palazzi restaurati, panchine e fioriere, locali che accolgono i turisti e musica jazz o popolare siciliana in sottofondo eseguita dai nostri artisti. O i vicoli del centro storico animati dai nostri cantautori lungo un percorso programmato per vivacizzare la nostra città e incentivare così anche la produzione musicale”.

Al momento, però, resta un sogno. Come pare esserlo quello di ricreare i Caffè concerto degli anni Novanta. “Non si vive di musica a Catania come nelle altre città italiane – continua Borgese. Gli unici artisti che riescono a sopravvivere con la musica, anche dignitosamente, sono quelli legati a determinati circuiti e che non svendono la propria arte, a muso duro, tanto nella musica dal vivo quanto nell’industria discografica. Ma Catania potrebbe vivere di musica: è questo il concetto forse difficile da comprendere”.

E lo potrebbe fare con il favore dei residenti. Come spiega un altro musicista, Antonio Ferlito. “La musica live deve essere udibile e di conseguenza fruibile – spiega. Se non la sento non posso apprezzarla; tutto andrebbe organizzato con orari che regolino le esibizioni perché anche chi vive in centro e lavora ha diritto a riposare cosi come chi non ama la musica ma per assurdo magnifichiamo posti dove la musica è ad ogni angolo di strada per poi bandirla dalla nostra città”. Mentre nelle capitali europee si vive di musica. “Basta vedere città come Barcellona, Berlino, Londra, New York – conclude Ferlito – dove i musicisti rappresentano un valore aggiunto della vita metropolitana”.

 


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