Il Pd si 'nasconde', poi festeggia | Chi sono gli eletti in Consiglio - Live Sicilia

Il Pd si ‘nasconde’, poi festeggia | Chi sono gli eletti in Consiglio

I dem hanno rinunciato al simbolo, pur di stare con Orlando. Quanto vale il risultato della lista con gli uomini di Alfano.

Le amministrative
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PALERMO – Si era camuffato. Nascosto sotto il telo di una lista ibrida, bicolore. Poi, quando i risultati sono apparsi chiari, annunciando la netta vittoria di Leoluca Orlando, il Partito democratico si è materializzato nel comitato elettorale del sindaco (ri)eletto. Lo stesso sindaco che, persino nei momenti della gioia e dei brindisi, si adombrava quando qualcuno lo accostava al Pd.

Anzi, Orlando si è impegnato a spazzare via l’ombra del partito dalla sua vittoria. L’ombra dei partiti, in generale. La sua, lo ha ripetuto allo sfinimento, è la vittoria di un progetto che abbatte le impalcature partitiche. La sua, è la vittoria del “civismo”.

E civica, quindi, andrebbe considerata anche la lista dei “Democratici e popolari”, se non fosse, invece, noto il processo che ha portato alla sua nascita. Per farla breve: per mesi, quelli passati, buona parte del Pd – renziani in testa – ne hanno dette di tutti i colori al sindaco, che ha risposto per le rime. Poi, dopo un timido annuncio di primarie, svanito nonostante si fossero persino fissate le date, la folgorazione: il Pd va con Orlando. Ma quale Pd? Un po’ tutto, seppur con differenti gradi di felicità. A quel punto, però, è arrivato il diktat di Leoluca: “Volete venire con me? Allora scordatevi il vostro simbolo”. Condizioni durissime che, del resto, scatenarono diverse proteste all’interno del partito, raccolta di firme, comunicati di fuoco, persino l’idea di individuare un candidato alternativa nella propria classe dirigente. Poi, tutto sommato, i Dem hanno imboccato la via della cautela che avrebbe portato probabilmente alla vittoria: quella indicata da Orlando, appunto.

Con una ulteriore sfumatura. La lista senza simbolo è pure ibrida. Ed è riuscita nel miracolo di mettere attorno allo stesso tavolo, per la scelta dei candidati, ex comunisti duri e puri insieme a chi era stato fino a ieri un fedelissimo di Renato Schifani o chi era assai gradito a Gianfranco Micciché e Diego Cammarata, senza dimenticare i centristi di Gianpiero D’Alia. Ecco, quindi, i Democratici e popolari. Capaci di ottenere, alla fine, un risultato pari all’8,6 per cento. Quanto basta per scatenare la gioia dei big del Pd siciliano, accorsi da Orlando, festanti. Mentre il sindaco ribadiva, al punto da litigare a distanza con Enrico Mentana: “Io non sono del Pd. Qua i partiti non ci sono”.

Già, i partiti non ci sono. C’erano solo gli uomini dei partiti. Che hanno misurato la loro forza e il peso delle loro immancabili “correnti” dentro questa lista “double face”. Capace, comunque, di portare a Sala delle Lapidi sei consiglieri comunali. Il più votato? Non ha nulla a che vedere col Partito democratico. Perché la storia di Francesco Scarpinato, ex Alleanza nazionale, poi avvicinatosi a Marianna Caronia, infine approdato al Nuovo centrodestra, non è esattamente quella di un uomo “di sinistra”. È proprio lui, però, a ottenere il maggior consenso tra i Democratici e popolari, con i suoi 3431 voti che rappresentano, addirittura, il 15,15 per cento dei consensi in una lista che ha di poco superato le 20 mila preferenze e che era composta da 40 candidati.

Voti che chiaramente, quindi, non hanno una matrice dem. Così come non l’hanno, ad esempio, i 700 di Totò Palma, i 1.100 di Salvo Italiano già consigliere di Forza Italia nel 2001 e che nel 2007 apriva il proprio comitato elettorale sempre con i berluscones alla presenza di Schifani e Cammarata e oggi è vicino all’ex sottosegretario Simona Vicari, i 300 di Pippo Di Paola ex Udc e oggi nel gabinetto di Giovanni Pistorio. Voti, insomma, che non possono essere “computati”, così come tanti altri (erano 20 i candidati alfaniani e centristi), come voti del Pd. E allora, cosa resta ai dem di quell’8,6 per cento della lista? Una quota assai inferiore a quel dato. E che solo in parte può essere compensata dalla presenza in altre liste di candidati che possono essere riferibili al Pd: è il caso di Fabrizio Ferrara del Mov139 sostenuto anche dai renziani e capace di ottenere un ottimo risultato con i suoi 1.650 voti.

Cosa resta al Pd di quell’8,6 per cento quindi? Molto di meno. Probabilmente meno di quanto il partito fosse riuscito a ottenere alle ultime elezioni amministrative, in quel caso al fianco di quel Fabrizio Ferrandelli che oggi è l’obiettivo delle ironie dei dirigenti Dem: il 7,75 per cento. Le percentuali, però, sono sempre relative. E forse dice qualcosa di più il dato concreto dei voti: in queste elezioni, la lista che il Pd ha formato con Alfano e D’Alia, ha ottenuto 20.278 voti; nel 2012, il Pd da solo ottenne 21.406 voti. Qualcosa si è perso per strada, insomma. E non è un dato da poco, se si considera che in questi ultimi cinque anni, i Dem hanno governato sia a livello nazionale che regionale, allargando il partito fin verso i confini più estremi del centrodestra siciliano.

E però, nonostante i camuffamenti di questa campagna elettorale, la lista Democratici e popolari è tornate utile al Pd per “misurare” un po’ il peso delle correnti. E non é un caso, forse, che l’unica di queste “anime” del Pd in grado di portare a Sala delle Lapidi due consiglieri, sia stata quella degli AreaDem rappresentata in Sicilia da Giuseppe Lupo, il più convinto sostenitore dell’idea-Orlando: è stato lui infatti a sostenere la corsa di Giovanni Lo Cascio (quasi 1.500 preferenze) e Carlo Di Pisa (poco più di 1.300 voti). Antonello Cracolici ha invece portato in Consiglio Rosario Arcoleo (quasi 1.500 voti). Davide Faraone ha consentito a Dario Chinnici di essere il più votato tra i Dem nella lista, con quasi 2.100 preferenze. Che sono comunque 1.300 preferenze in meno di Francesco Scarpinato, il più votato in una lista che ha fatto esultare, dopo essersi nascosto, il Partito democratico. Una lista che profuma molto di centrodestra.


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