I "baci definitivi" |del nuovo Buttafuoco - Live Sicilia

I “baci definitivi” |del nuovo Buttafuoco

L'amore al centro del racconto del giornalista siciliano.

Il ceffo è lui. Il ceffo che nella prima pagina, nella prima vita raccolta da Pietrangelo Buttafuoco nel libro edito da La Nave di Teseo, pronuncia lapideo la sentenza che dà il titolo all’antologia di momenti rubati, c’è da scommettere: è lui. “I baci sono definitivi” è tutta una cosa sua: una frase che prima di essere stampata sul bianco e nero di una copertina, dev’essere davvero sfrecciata dalle labbra dell’autore siciliano alla volta di due ignare pendolari tatuate, rapite e marchiate – adesso sì, più con la parola che con l’inchiostro – dal fulmineo hadith dello scrittore viaggiatore che per una volta, e una sola, tradendo il suo ruolo di spettatore silente s’è voluto fare attore, svelandosi a quel pubblico di varia umanità che della sua scrittura costituisce inconsapevole le trame e le volute.

È lui che taglia, è lui che incide, è lui che imprime a fuoco il senso ultimo – e primo – di questo viaggio, realmente immaginifico, tra gli uomini e gli dèi. È lui che, convinto, guarda in tralice passanti e lettori, e con un sorriso a mezza bocca soffia via una frase che, chiusa e ferma, apre il libro e la mente all’infinità di vita, e di vite. Lui che passeggia ogni giorno attraverso le sue mille realtà, incastrando mille lavori e mille volti, senza perdere una briciola del mondo che incontra, segnando lesto su un taccuino nero sempre pieno, ciò che il suo vigile sguardo azzurro cattura nella corsa.

E’ definitivo, l’amore tatuato nell’inchiostro della penna di Buttafuoco: definitivo perché incompiuto, perché mai raggiunto, e pertanto – per sempre – in corsa verso di sé. “Il mai detto, il mai fatto, il mai vissuto. Tutto il segreto dell’amore”, decreta il libro. L’amore che per sempre de-sidera, per sempre si manca, per sempre si cerca. Per sempre, si ama.

Maestro nello studio dell’umano, Buttafuoco tratteggia in due righe come in cento pagine l’infinito novero di possibilità che ogni incontro spalanca, e gli infiniti sussulti che ogni scelta determina. E di ogni storia contemporanea fa una novella, riportando nell’oggi i personaggi di ieri, e di sempre. Dove andrebbe oggi Cyrano de Bergerac, in cerca della sua Rossana, se non alla fermata della metro, per raggiungere l’oggetto sfuggente del suo eterno amore? E che volto avrebbe l’iraconda Giunone, se non quello di una ragazza persa in mezzo a uno stormo leggero di femministe gaudenti, che si burlano della gelosia di Giove?

Ma è il desiderio il personaggio principe che continua a tornare nelle istantanee scattate da Buttafuoco per il suo personalissimo album di ritratti quasi veri: quell’anelito che pretendendo l’irraggiungibile continua a muovere verso il possibile. Il motore immobile, avrebbe detto Aristotele; l’amore cui tutto l’universo obbedisce, direbbe Battiato.

Dense di desiderio, le pagine fitte scorrono veloci come i treni dei pendolari, portandosi dentro, e intorno, tutto il fascino maliardo di ciò che non si è detto, di ciò che non si è fatto, delle possibilità e delle occasioni smarrite, nella fretta, nei giorni, e nei tornelli della metro.

Insegue la vita, Buttafuoco, insegue affamato tutte le vite possibili. E lo fa nelle parole, barocche e taglienti della sua scrittura splendente di lirismo, come lo fa nei lampi fulminei e profondi degli sguardi che mai stanco lancia alla vita che gli corre intorno, per non perderne un attimo, per non lasciarne una goccia. Per coglierla e capirla, per saper trarre dalla noia di ciò che è quotidiano la sublime poesia di ciò che è divino. Pare di vederlo, fintamente distratto, uscire dalla sua casa romana prima dell’alba, sulle spalle un ufficio dentro uno zaino, tra le mani l’abbonamento ai mezzi pubblici, viatico verso le mille verità che gli passano accanto. Come il cesello di Bufalino, come la scure di Longanesi, la penna di Buttafuoco insegue il dettaglio, innamorata senza scampo della malinconia dolce e pungente che nel dettaglio si cela. E ama il dolore sottile dell’amore che è ormai è sua cifra.

Nella sue parole ogni uomo è un eroe per l’amore che dà; e ogni donna è dea, nell’amore che ispira. Ricama, Buttafuoco, e di ogni pendolare fa il protagonista di un romanzo, di una storia assoluta. Tesse le vite, lo scrittore, e nella fatica del suo lavoro diventa incanto la lordura della pancia sotterranea di una città troppo grande, troppo distratta, troppo di fretta per concedersi il lusso di fermarsi a guardare. Guarda lui, allora, senza fermarsi, e dentro ogni incontro scorge un’anima e una storia. Un dolore, forse. E una danza. «Gioco malvagio – scrive infatti il saggio, quando non sono che le 6 del mattino, alla stazione Cornelia – è il gioco a incastro. Due anime si scrutano come a prendere le misure l’una all’altra. Non si sono neppure presentati. Eppure si sono riconosciuti. Ed è malvagità quell’amore bruciato in meno di un minuto».

Crudele è il desiderio per chi ha occhi per vederlo: si perde il sonno e si perde il senno a struggersi per amore. Eppure non c’è altra vita che valga la pena vivere. È un inno al dolore dolce della vita piena, questo libro, ed è una lente: un heideggeriano invito alla cura, all’osservazione attenta di ciò che è normale, per cogliere in tutto qualcosa di speciale. Popolano le pagine colme di raffinata scrittura i personaggi, quelli che nell’opera di Buttafuoco si affacciano sovente: l’amato Cyrano, e l’ennese Persefone, insieme a Plutone, e a D’annunzio e all’Onegin di Puskin, che vaga tra i fogli insieme a Gabriella Ferri alla guida di un’utilitaria e a Don Chisciotte che nemmeno in autostrada riesce ad acciuffare – finalmente – Dulcinea. E poi ancora la Fata dell’Acacia e Giufà, vezzi stilistici ricorrenti riservati alla comprensione di chi come l’autore conosce la terra e le tradizioni di Sicilia. E quelli che non tornano poi, perché non sono mai andati via.

Sono pezzi di famiglia, questi, suprema forma d’amore e di vicinanza, cristallizzata in un ricordo che fu un toccante articolo uscito sul Foglio, e che oggi torna tra le pagine del libro, portato dalle spalle bambine dei figli dell’autore, fatte grandi dalla condivisione della bara di un capofamiglia che andando via rende orfano un padre, e scopre due uomini dove prima erano due ragazzini.

Tutto un andare, tutto un tornare. «C’è sempre – scrive Buttafuoco – chi per essere deve andarsene via». E mai si placa l’eterno movimento dell’amore. Definitivi, i baci, si fanno dettami, e muovono il traffico, nel ventre del mondo, guidando le anime le une verso le altre, e allontanandole poi, per capriccio, seguendo il fluire irregolare di un’onda marina. “In un binario ci sono gli uomini, in un altro le donne e si capisce allora come l’unica strada che prende tutti – chi parte e chi resta – è sempre l’errore o qualche promessa mancata. È un esercizio di ricognizione. Solo così, comunque – dimenticati dalla folla, brulicando d’indifferenza – si manifestano da vicino gli equivoci: i grandi amori costretti da sempre a non avere destinazione. È il destinarsi. Di chi parte e di chi resta”. In un sentire pieno, e disperato, come solo l’amore. Perché di amore si tratta. Sempre.


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