"Riina tentò di passare per demente | Una perizia rivelò che fu un bluff" - Live Sicilia

“Riina tentò di passare per demente | Una perizia rivelò che fu un bluff”

A rievocare la circostanza è Corrado De Rosa, psichiatra e consulente dell'autorità giudiziaria.

ROMA – Totò Riina nel gennaio del 2012 provò a passare per demente e, di conseguenza, per incapace di stare in giudizio. Era l’appello per l’omicidio del politico Dc siciliano Giovanni Mungiovino, avvenuto nel 1983. Un tentativo compiuto dal suo avvocato in un procedimento lontano dai riflettori, che se fosse riuscito avrebbe forse permesso al più feroce boss di Cosa Nostra di uscire da tutti i procedimenti, sei anni prima dell’attuale polemica sulla sua uscita dal carcere per motivi di salute. La perizia chiesta dal suo legale, Luca Cianferoni, e disposta dai giudici di Caltanissetta, stabilì però che Riina non era affetto da demenza.

A rievocare quella circostanza è Corrado De Rosa, psichiatra e consulente dell’autorità giudiziaria, autore di libri sull’uso strumentale della follia nei processi di mafia e terrorismo e sui rapporti tra clan e professionisti della salute. “Se a Riina avessero riconosciuto una demenza, cioè un disturbo cognitivo irreversibile che lo avrebbe reso incapace di difendersi utilmente in quel processo – dice – il suo legale avrebbe potuto fare copia-incolla della perizia per provare a sospenderne altri a suo carico”.

Il capo dei capi di Cosa Nostra deve scontare 18 ergastoli, quindi in gioco non c’era tanto la scarcerazione, quanto la partecipazione a processi come quello sulla trattativa tra Stato e mafia. De Rosa spiega che il tentativo fu successivo alla sentenza del processo Tagliavia a Firenze per le stragi del ’93, che alla fine del 2011 adombrò per la prima volta proprio l’esistenza di una trattativa.

“La Procura di Palermo stava lavorando al processo sulla trattativa – dice De Rosa -. Al di là degli esiti, Riina, lo avrebbe dimostrato successivamente, avrebbe preferito restarne fuori e una diagnosi di demenza glielo avrebbe consentito agevolmente”. Nel 2013, due anni dopo quel tentativo, Riina fu intercettato e ripreso nel carcere di Opera, a Milano, mentre parlava con il boss della Sacra Corona Unita Alberto Lorusso: i suoi discorsi apparvero tutt’altro che quelli di un demente.

“Riina è malato, nessuno nega le sue patologie: ha il Parkinson, due neoplasie, è cardiopatico”, dice De Rosa. Allora perché resta in carcere? “Evidentemente perché, secondo i giudici, in regime detentivo è curato così come sarebbe curato fuori. La salute è un diritto sancito dalla Costituzione, ma i livelli di cura non sono automaticamente ridotti in carcere, nemmeno al 41 bis”. “Nel carcere di Opera era ricoverato in centro clinico, sorvegliato a vista notte e giorno. Era la fine del 2012. Aveva un’ambulanza a disposizione, sempre pronta a portarlo in ospedale. Un’assistenza certamente dignitosa”, osserva De Rosa.

Lo psichiatra ricorda che Riina, in passato, ha usato la malattia mentale per screditare i suoi nemici, in particolare il collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo, suo ex autista e uomo di fiducia divenuto grande accusatore. “Lo delegittimava utilizzando la follia. Gli disse in aula che era pazzo perché era stato in un ospedale psichiatrico giudiziario e quando Mutolo rispose che aveva ottenuto perizie compiacenti, tirò in ballo la schizofrenia della madre. Riina di sé, invece, ha sempre detto: ‘Dal collo in giù sono malato, ma il resto funziona bene'”.

In base alla sua esperienza in processi su Casalesi, camorristi, narcotrafficanti, De Rosa spiega: “I mafiosi sfruttano soprattutto i disturbi psichici perché non ci sono TAC o radiografie che possono confermarli o meno. Attraverso una perizia medica compiacente ottengono proscioglimenti, riduzione della pena, sospensione dei processi e scarcerazioni. In questo modo, le malattie diventano un viatico verso l’impunità”.

“Naturalmente bisogna valutare caso per caso”, aggiunge. Bernardo Provenzano, ad esempio, era ridotto a un tronco vegetale: “Aveva problemi ancora più gravi di quelli di Riina. Il suo legale, peraltro, non chiedeva l’incompatibilità con il regime carcerario ma con il 41 bis”. L’altro capo di Cosa Nostra è morto in ospedale a Milano nel 2016, aveva 83 anni. Ora Riina, secondo il pm di Palermo Nino Di Matteo, è “lucido e orientato nel contesto”, e per la presidente della Commissione parlamentare Antimafia Rosy Bindi, che gli ha fatto visita, “in carcere viene curato meglio che a casa”. (ANSA).

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