Dopo i Gattopardi ecco le 'Iene' | Vecchio e triste Cinema Palermo - Live Sicilia

Dopo i Gattopardi ecco le ‘Iene’ | Vecchio e triste Cinema Palermo

Il manifesto di Ismaele La Vardera per la sua campagna

Pensavi che fosse la realtà? Era un film. Catalogo dei cineasti: da Ismaele, a Pif, a Saro. Perché tutto fa show.

La provocazione
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Una mattina palermitana di libera uscita. Il Grande Regista ha concesso qualche giorno di pausa. Potremo stenderci sulla sabbia di Mondello, fare il bagno, mangiare un bollente panino con le panelle, senza essere spiati; non più carne da documentario, materia grezza, da manipolare, per la sociologia, prede indifese delle cineprese e del luogo comune. Torneremo ai nostri nascondigli: ombre protette dal sollievo di una tana segreta.

Fino a ieri, portavamo la croce irrilevante delle comparse, accerchiati come eravamo, nostro malgrado, da questo o da quel riflesso delle telecamere. Qualcuno si è pettinato a dovere, credendo che ci fosse un Peppuccio Tornatore nei paraggi, ma c’erano solo prodotti di quarta serie da comporre in fretta e mandare in onda, sfruttando il momento, nel vecchio e triste Cinema Palermo. 

C’era, per esempio, Ismaele La Vardera con il suo resoconto di sospiri e sussurri della campagna elettorale. E ci siamo cascati quasi tutti, magari in una particina di striscio, come certe figure ignote che si vedono camminare in fondo a una strada, ai margini di una narrazione, per essere un attimo dopo dimenticate. 

Dunque, ecco Ismaele – l’ultimo cineasta in catalogo – che il suo film lo metterà insieme davvero, spacciandolo per un reportage all’insegna dell’onestah (ovunque c’è un Beppe Grillo che sonnecchia). Più che un documentario, sarà, probabilmente, un monumentario per omaggiare il suo ciuffetto rosseggiante, per mitizzare il suo lapino ormai in disuso, con le stimmate del neorealismo da reality. Una sorta di montaggio analogico di suggestioni, a maggior gloria del suo ideatore.

Tale, infatti, è il cinema che si fa quaggiù, nella colonia delle metafore e delle comparse; riflette soprattutto le tesi e l’ambizione del protagonista indiscusso, lasciando sullo sfondo il resto. Più che la ricerca della verità, contano la schiuma del narcisismo e la tentazione dello spettacolo. E il catalogo effimero dei cineasti cresce in aggiornamento perenne.

Dunque, ecco e riecco Pif alla testa dei disabili che reclamano il riconoscimento di diritti sacrosanti. Encomiabile gesto di altissimo valore civile fu la guida del corteo che piombò su Palazzo d’Orleans con le telecamerine al seguito sedotte dal profumo di show. Zoom in rapidissime sequenze. Il tribuno del popolo che inchioda il governatore politicamente imbelle alla poltrona e se lo mangia vivo. L’obiettivo che stringe sul viso adirato di Pierfrancesco-Pif, sul pigolio inconcludente di Rosario Crocetta. E poi? E poi non annoti più nulla, scordi il dolore delle persone in carrozzina, le loro ottime ragioni. I disabili attori principali? No, Pif. La verità della sofferenza? No, l’inquadratura fragile e istantanea della rabbia.

Ma non viviamo, forse, nell’epopea delle ‘Iene’ che sgominano legioni di malfattori al semplice schiocco di una palmare incorruttibilità televisiva? Non è il tempo delle cose e delle persone immortalate in presa diretta, successivamente inghiottite dalle esigenze del montaggio? Ecco dunque ‘Le Iene’ che incombono, al posto dei Gattopardi, come eroici spadaccini che affrontano i cattivi con la telecameruzza nascosta sguainata a mo’ di fioretto e svelano gli intrighi. E non c’erano già i giornalisti? C’erano – almeno la maggioranza dei coscienziosi – e tentavano di intercettare la realtà, non di costruire lo show. C’erano e restavano in disparte: non erano loro il film. Niente sceneggiatura preconfezionata, niente montatori. Ora pure il giornalismo si genuflette e omaggia l’avvento della Morbosità Suprema, nel nome del progresso.

In tanta potente drammaturgia politica, poteva mancare il narcisismo da Bagaglino (e speriamo che il Bagaglino non se ne adonti e non quereli)? E’ sufficiente cambiare un po’ scenografia, allargare visuale e nomenclatura, per scoprire un diverso, parallelo e ricchissimo catalogo cinematografico e sentirsi coinvolti in un clima di catastrofica leggerezza, o di leggerissima catastrofe, se vi piace così, da spettatori impotenti.

Apprezziamoli – riavvolgendo il nastro di alcune indimenticabili interpretazioni – Saro C. e Giovanni P., rispettivamente e malauguratamente governatore e assessore in Sicilia, mentre si cannoneggiano a mezzo stampa nell’arcinota commedia ‘Vai a Filicudi e, per piacere, restaci’. Un filmetto popolare in cui ci vorrebbe l’ilarità smaccata di Lino Banfi, se, con gli anni, non avesse indossato la maschera di un magnifico e poliedrico artista.

E c’è la principale trama farsesca in cartellone: la fantasmagorica crisi minacciata a pochi mesi dal voto, il ruttino dei complici del Crocettismo, folgorati sulla via del pentimento. Che cinema delle comiche! Titolo inequivocabile: ‘Molla Saro e scappa…’. A riguardo, basterebbe un hasthag, secondo la moda corrente: #Siamosicilianinoscimuniti, mentre gli stessi artefici del precedente kolossal si stanno attrezzando per una nuova opera che dovrebbe riportarli indisturbati a Palazzo d’Orleans, senza pagare pegno. Un capolavoro di antimafia e di impegno civile. Titolazione provvisoria? ‘Grasso che cola’. Attenzione al montaggio, all’occhio della madre e alla carrozzella col grillino.

E cos’altro mai aggiungere circa il già nominato Saro-Rosario da Gela, il quale, comodamente assiso nel salottino del suo amico Massimo Giletti, ha spesso esibito spezzoni talmente surreali da provocare rossore e vergogna, nel loro muovere al riso per l’insolenza, non per la comicità? Proiezioni su proiezioni.

Ma qui, a Palermo, finalmente, respiriamo l’aria pulita di Mondello, in una mattina di libertà. Abbiamo appena celebrato una massacrante campagna elettorale in cui la città non c’è mai stata, c’erano i film propagandistici nel vecchio cinema Orlando, nel giovane cinema Ferrandelli, nel nuovo cinema Forello. Ha vinto il regista – pardon, il sindaco – che sappiamo.

Noi abbiamo applaudito, con la sorridente indifferenza di sempre. Noi, le comparse in fila, ai margini, nell’attesa sconsolata di una particina in commedia o in tragedia. Almeno quella, per carità. Noi, le ombre che tutti dimenticano, un attimo dopo i titoli di coda.

 


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