Crocetta riparte tra slogan e bluff | La sua forza? La debolezza del Pd - Live Sicilia

Crocetta riparte tra slogan e bluff | La sua forza? La debolezza del Pd

Il governatore ci riprova e fonda la sua candidatura sulle contraddizioni dei partiti.

Mentre Rosario Crocetta leggeva i punti del suo nuovo manifesto politico “Mi ricandido”, i lavoratori dei Consorzi di bonifica, che il governatore aveva convocato per le 14, attendevano già da quasi due ore. “Il nostro governo? Ha ottenuto tanti successi” rivendicava in quei minuti il presidente uscente e ricandidato, mentre quei dipendenti occupavano una sala di Palazzo d’Orleans. Una fotografia di quel fallimento politico che nemmeno la retorica colorita di Crocetta, l’appiattimento sulle solite mezze bugie inzuppate in un dito di verità, i numeri letti in un verso solo, le fanfaronate, il folklore, le sparate antimafia “che la legislazione antimafia in Europa l’ha portata questo sindaco di paese insieme a Sonia Alfano” possono cancellare.

C’è però un nucleo di realtà, nel rilancio di Crocetta. “Perché non devo ricandidarmi?” chiede. E forse, a pensarci bene, ha ragione. E la rivendicazione del governatore uscente poggia, soprattutto, sulle debolezze degli altri. Del suo partito, teoricamente una delle più grandi macchine di consenso in Italia, che Crocetta si diverte a sfidare dal suo furgoncino riverniciato con i colori del Megafono.

La forza di Crocetta, infatti, è tutta lì: nella debolezza del Pd, nell’intruglio delle sue “anime”, nel garbuglio delle sue correnti, nelle ambizioni personali nemmeno troppo elevate, nel fascino delle poltrone, delle poltroncine e persino delle sedioline. Vizi e difetti, debolezze e vanità che danno forza a Crocetta. Nonostante cinque anni di disastri. Che lui tenta di allontanare con un gesto della mano e una confusa spiegazione di un quarto d’ora: perché lui non c’entra mai. Sugli incendi, sulle Province a un passo dal default, sulla Formazione ridotta in macerie e ancora ferma, sulla gestione disgraziata e a tratti tragicomica dei rifiuti. Lui non c’entra mai. La colpa è sempre dei piromani, dei deputati cattivi, dei cattivissimi padroni degli enti, degli interessi attorno alle discariche e alla monnezza. Lui? Non c’entra, come se non ci fosse. I cinquanta assessori nominati in quattro anni? Non sono suoi. I trasformisti che hanno composto la sua maggioranza? Chi li conosce. I consulenti a pioggia, i fedelissimi dal curriculum un po’ troppo leggero? Così fan tutti. Lucia Borsellino che ha sbattuto la porta? Colpa di una intercettazione inesistente.

Il presidente liquida tutto con leggerezza, spalmando la marmellata della sua retorica su fatti invece assai complessi. È il caso dell’inchiesta nella quale risulta ancora indagato e che il presidente liquida quasi come una delle conseguenze della solita omofobia. Omofobia giudiziaria, si dovrebbe allora pensare, seguendo quel ragionamento, se è vero che gli investigatori stanno indagando non sulle preferenze personali del presidente ma su ipotesi di reato.

Il governatore arriva persino al punto di capovolgere il senso di quanto accaduto sui conti siciliani. Quello che Crocetta ha descritto come un “giudizio favorevole della Corte dei conti che ha anche sottolineato l’eccezionalità del nostro lavoro” non è rintracciabile da nessuna parte. Ovviamente non lo è nelle parole durissime del Procuratore generale d’appello della Corte, ma nemmeno in quelle più moderate, ma pur sempre assai critiche, della Sezione di controllo. Quello che dice Crocetta mette sottosopra il senso di qualcosa accaduto per la prima volta nella storia della Sicilia: il bilancio è rimasto in sospeso, in bilico per quasi venti giorni. Su quei conti si sono allungate ombre scurissime. Più tetre di quelle che si erano stese sui rendiconti dei suoi predecessori. Ma per Crocetta il giudizio di parifica è stato un successo. E così, è inutile andare a cercare in questa propaganda, qualcosa di più che un profumo di realtà.

C’è da interrogarsi, allora, su cosa possa portare un governatore che porta in dote questi fallimenti, questi strafalcioni amministrativi (vedi il Muos, vedi Humanitas, vedi cosa è successo con la Formazione professionale, col click day, con le nomine dei manager della Sanità…), queste contraddizioni palesi a rilanciare. A trovare la forza per dire: “Il candidato? Sono sempre io”.

La risposta non può che essere quella. Ed è da cercare nelle facce di chi, fino a oggi, tiene Crocetta saldo a Palazzo d’Orleans. Limitandosi alla forza effimera dei comunicati stampa che non scalfiscono, nell’ormai sempre più consapevole opinione pubblica siciliana, il dato duro e chiaro: che sono stati e sono tutt’ora i compagni di viaggio di quel governatore dal quale ora chiedono di segnare la “discontinuità”. A cominciare da quei renziani nei confronti dei quali a Crocetta viene fin troppo facile pescare nell’ironia: “Il presidente del Pd Giuseppe Bruno chiede discontinuità rispetto al mio governo? Ma non è stato un mio assessore? Lui rappresenta solo la corrente di un pezzo di corrente”. E ovviamente il riferimento è a Davide Faraone, che, tanto per gradire, in tempi non troppo distanti aveva affermato: “Sostenere Crocetta? Sarei da Tso”. Ma gli assessori che fanno capo alla sua area sono tutti lì, non si è schiodato nessuno, da Alessandro Baccei a Baldo Gucciardi, passando per Vania Contrafatto. Impigliati in questa contraddizione, su cui Crocetta ha innestato la sua voglia di riprovarci. E lo stesso vale per altri pezzi del Pd. Persino per quelli che oggi rivendicano i “buoni risultati” del governo politico (buoni ovviamente anche grazie al loro provvidenziale avvento). È il caso di Antonello Cracolici, che già durante la direzione del Pd invitava – ed è un ragionamento per molti versi condivisibile – a evitare la tendenza al “tafazzismo”: “Dobbiamo raccontare alla gente che abbiamo fatto bene”. Frasi che, però, anche in questo caso rilanciano le ambizioni di Crocetta: “Se abbiamo fatto bene, perché non dovrei riprovarci?”. E lo stesso schema riguarda gli uomini di Totò Cardinale che chiedono di voltare pagina e lasciano al suo posto l’assessore Croce, così come quelli di Angelino Alfano che parlano di “esperienza politica non conclusa solo perché mai iniziata”, ma tengono lì l’assessore ai Beni culturali Carlo Vermiglio. Tutti lì. Pur di non mollare poltrone e poltroncine, di poter dire la propria sulla programmazione dei Fondi europei e i corsi di Formazione, sui concorsi nella Sanità e sugli incarichi di sottogoverno. E questo Crocettalo sa. Per questo può permettersi di tirare fuori il Megafono e urlare: “Mi ricandido. Perché no?”. In effetti, perché no?


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