"Il custode che guidava il clan" | Pizzo a tappeto: tutti condannati - Live Sicilia

“Il custode che guidava il clan” | Pizzo a tappeto: tutti condannati

Antonino Di Marco

Sotto processo gli uomini del racket fra Corleone e Palazzo Adriano (Nella foto Antonino Di Marco).

PALERMO - LA SENTENZA
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PALERMO – Tutti condannati in primo grado. Tutti condannati in appello. Regge la ricostruzione della Procura sui clan mafiosi di una fetta della provincia di Palermo. Quelle le pene confermate dal collegio presieduto da Fabio Marino: 12 anni ad Antonino Di Marco; 11 anni a Paolo Masaracchia, 11 anni e 8 mesi per Nicola Parrino, 8 anni e 4 mesi per Franco Dugo, 9 anni e 8 mesi per Pasqualino Dugo e 9 anni per Ciro Badami. Considerati affiliati ai mandamenti di Corleone e Palazzo Adriano furono arrestati tra il 2014 e gli inizi del 2015 con l’accusa di estorsione.

Le indagini dei carabinieri del gruppo di Monreale, coordinate dai pubblici ministeri Leonardo Agueci, Sergio Demontis e Caterina Malagoli, fecero emergere la figura di Di Marco, custode del campo sportivo comunale di Corleone. Aveva fatto il salto di qualità, dalla piccola manovalanza al bastone del comando in virtù anche di una parentela eccellente. Suo fratello Vincenzo era stato l’autista di Ninetta Bagarella, la moglie di Totò Riina.

Di Marco era uno all’antica. Dai suoi uomini avrebbe preteso “educazione e serietà”. E poi ci voleva rispetto per la famiglia e capacità di mimetizzarsi fra la gente comune. Nessuno avrebbe dovuto sospettare di loro.

Un’inchiesta quella dei militari senza pentiti e denunce. Un lavoro all’antica con ore e ore di pedinamenti e osservazioni. Sarebbe stato così ricostruito l’assetto della famiglia mafiosa di Palazzo Adriano e il suo posizionamento all’interno del mandamento mafioso di Corleone che fu feudo di Riina, Provenzano e Bagarella. L’imposizione del pizzo era la principale fonte di sostentamento del clan e il mezzo attraverso cui si reggeva il controllo del territorio.

I soldi incassati finivano nella cassa comune tra Palazzo Adriano e Corleone. Quindi l’uomo indicato al vertice della famiglia, Pietro Paolo Masaracchia, li utilizzata per finanziare nuove azioni criminali e per pagare le spese degli affiliati. Poco meno di dieci imprenditori edili sono finiti sotto il giogo dei boss che hanno messo le mani sui cantieri e gli appalti pubblici. In particolare, sulla costruzione e il rifacimento di alcune strade della provincia.


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