Il boss dei misteri presto in Italia | Quel ponte d'oro con New York - Live Sicilia

Il boss dei misteri presto in Italia | Quel ponte d’oro con New York

Ferdinando Gallina

Richiesta di estradizione dagli Stati Uniti per Freddy Gallina, reggente del clan di Carini, accusato di due omicidi.

PALERMO – La richiesta di estradizione è partita qualche giorno fa. A firmarla il ministro della giustizia. Se dovesse essere accolta, ipotesi quasi certa, Ferdinando Gallina tornerà in Italia dagli Stati Uniti. Correrà il rischio di essere condannato all’ergastolo. A soli quarant’anni è accusato di due omicidi, ma conosce pure i segreti degli affari della mafia palermitana a New York. Gli affari che si discutevano nei ristoranti della provincia palermitana prima di spedire gli ambasciatori oltreoceano. E Freddy Gallina era uno di questi. Un reticolo di interessi economici che faceva capo ai Lo Piccolo di San Lorenzo mai scoperto nonostante gli investigatori lo abbiano cercato in mezzo mondo.

È pesantissima la posizione di Freddy Gallina, reggente del clan mafioso Carini, alleato storico dei Lo Piccolo di San Lorenzo. La Procura ha appena chiuso le indagini. Lo ritiene responsabile di due omicidi sulla base delle dichiarazioni convergenti di due pentiti. Ecco perché, pur nella impossibilità di anticipare il giudizio le cui prove saranno valutate in dibattimento, la condanna al “fine pena” mai appare come uno sbocco processuale probabile.

Ferdinando Gallina, detto Freddy, è stato fermato a fine novembre scorso a New York dove era arrivato clandestinamente. Era scappato qualche mese prima, violando la sorveglianza speciale. Forse aveva intuito che tirava una brutta aria, ancor prima che si pentisse Nino Pipitone. È stato proprio Pipitone a raccontare di avere saputo da sua madre che si era allontanato da Carini. Gallina già nel 2008 si era dato alla latitanza per sfuggire al blitz Addiopizzo. Fu arrestato in una villetta a Villagrazia di Carini e condannato.

Assieme ad Antonino Pipitone, Pulizzi e Giovanni Cataldo (deceduto), Gallina nel 1999 avrebbero ucciso Francesco Giambanco a colpi di bastone alla testa. Nascosero il cadavere nel bagagliaio di una macchina data alle fiamme. L’ordine di uccidere Giambanco proveniva dal capo della famiglia mafiosa di Carini, Giovan Battista Pipitone, e dal fratello Vincenzo, che ritenevano Giambanco responsabile della scomparsa di Federico Davì e di alcuni danneggiamenti. “… mentre Cataldo parlava con Giambanco, che era arrivato con una jeep, io, Pulizzi e Gallina – ha raccontato Pipitone – uscimmo allo scoperto, prendemmo la vittima per le mani e i piedi, Cataldo lo colpì alla testa con un attrezzo da lavoro… a Giambanco scivolò una 357 magnum… la prese per ricordo Gallina… la jeep con il cadavere fu guidata da Pulizzi, io ero con Gallina in una macchina dietro. Cataldo rimase nel deposito per ripulirlo dal sangue, arrivati nei pressi di un torrente incendiammo la macchina”. Il racconto di Pipitone ripercorre quello di Gaspare Pulizzi che si è autoaccusato del delitto. Una lupara bianca che si intreccia con quella, non contestata a Gallina, di Antonino Failla e Giuseppe Mazzamuto torturati, uccisi e seppelliti dentro una Fiat Uno mai ritrovata.

Gallina sarebbe, invece, responsabile dell’omicidio di Giampiero Tocco. Salvatore e Sandro Lo Piccolo lo vollero morto perché ritenevano che avesse ammazzato Peppone Di Maggio, figlio del boss di Cinisi, Procopio. Anche in questo caso c’è la convergenza delle dichiarazioni di Pulizzi e Pipitone. Lo rapirono sotto gli occhi della figlia, fingendosi poliziotti a un posto di blocco. “Tocco venne legato a una sedia per essere interrogato – ha riferito Pipitone – durante questo interrogatorio rimasero dentro i miei zii Vincenzo e Giovan Battista e i due Lo Piccolo, Damiano Mazzola ed anche i due palermitani che erano stati nella macchina con me”. A Nino Pipitone toccò il lavoro sporco: “Dopo un po’ di tempo, fui chiamato da mio zio Giovan Battista che disse che avremmo dovuto portare il corpo in campagna: se ne occuparono materialmente Pulizzi e Gallina”.

Gallina conosce i segreti mai svelati degli affari oltreoceano dei Lo Piccolo e su quali appoggi potessero contare in boss di San Lorenzo per piazzare all’estero fiumi di denaro. Ed ancora quali siano stati i rapporti con gli altri capimafia siciliani quando Totuccio il barone era il leader incontrastato della mafia palermitana. Un periodo segnato dal sangue. Secondo i pubblici ministeri Amelia Luise, Annamaria Picozzi e Roberto Tartaglia, ci sono altri delitti da ricostruire. Altre lupare bianche seppellite dal tempo. Lo Piccolo aveva era ad un passo dal creare un super mandamento. I capimafia delle altre province – Catania, Trapani e Agrigento – erano obbligati a trattare con lui.

E se il rischio di essere condannato al ‘fine pena mai’ lo spingesse a collaborare con la giustizia? Se Gallina decidesse di pentirsi avrebbe parecchie cose da raccontare. Ci sono esempi, però, di giovani boss che non hanno mai ceduto. Basta guardare il silenzio di Sandro Lo Piccolo, che a 42 anni ha una sola prospettiva davanti: il carcere a vita.


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