Tribunali, faide e Casaleggio spa | La distanza tra il M5S e la realtà - Live Sicilia

Tribunali, faide e Casaleggio spa | La distanza tra il M5S e la realtà

L’assenza della politica e il cortocircuito che scatta quando dal web si passa alla democrazia.

Alla fine, scatta il cortocircuito. A volte il solco che separa il mondo della Casaleggio spa e quello della democrazia non è colmabile. E così, il Movimento finisce per cascarci dentro. Nel profondo delle proprie contraddizioni.

A prescindere dalle sentenze che verranno e che dovranno decidere, dopo la sospensiva, se ritenere valide o nulle le Regionarie, già nel testo di questa pronuncia del Tribunale civile di Palermo, c’è la storia di questa distonia, di questa distanza tra il perimetro segnato dalle “regole del Movimento” e quello tracciato dal gioco democratico.

Il “non Statuto” è uno Statuto, fa intendere il giudice. E la “non associazione” è un’associazione. Insomma, il “non partito” è un partito. E le stesse Regionarie, gioco a premi organizzato sul web, incidono sul diritto dei cittadini di candidarsi o meno. E a poco servono, in questo caso, le “rassicurazioni del garante”. Di Beppe Grillo in persona, insomma. Che potrà garantire il “traffico” tutto interno al Movimento, ma che deve – anche lui – sottostare alle regole del gioco pubblico, quello della realtà.

C’era già, del resto, un caso tutto genovese, quello di Marika Cassimatis, prima “eletta” dal popolo Cinquestelle, poi “depennata” dallo stesso Grillo, secondo la legge del “fidatevi di me”. A proposito di legge, però, un giudice ha dato ragione all’esclusa che alla fine ha scelto di correre da sé, in una Genova nella quale il candidato sindaco grillino reciterà un ruolo di comparsa.

C’è sempre quello strappo, quella distanza che a volte è incolmabile, nonostante la rincorsa dell’anticasta, nonostante la spinta del popolo grillino che immaginiamo spesso in buona fede. Persino in Europa, quando un “sondaggio estemporaneo” tutto interno decise per il cambio del gruppo parlamentare del Movimento. Tanti, al richiamo del capo, dissero “sì, cambiamo”. Poi, però, ecco di nuova la dura, complessa realtà: il ‘no’ di quel gruppo nel quale i grillini sarebbero dovuti confluire. Porte chiuse. E così, come non detto. Abbiamo scherzato.

La realtà, la dura realtà. Quasi sempre più complessa delle narrazioni intessute di manicheismo, dei bianchi e neri che non ammettono sfumature. Delle spiegazioni semplici del “noi” e del “loro”. Che si complicano maledettamente quando i “noi” diventano “loro”. Quando la guerra, insomma, è tutta interna. E non c’è garante che tenga. Anche perché, il capo è spesso solo la garanzia dell’assenza di politica. Di confronto. Di dialogo anche tra pezzi di quello che, piaccia o meno, è un partito. Così come in qualche modo spiega oggi il giudice del Tribunale civile di Palermo. E proprio i tribunali, così, finiscono per essere l’unico luogo per sanare le controversie politiche. Come quelle sorte tra l’area che oggi “guida” il Movimento in Sicilia e che fa capo a Giancarlo Cancelleri e quella dei “sospesi”, da Riccardo Nuti agli altri deputati nazionali che non hanno risparmiato polemiche e accuse al “management” in carica. E accennando persino a una specie di “macchinazione” in occasione della vicenda delle “firme false”. Un complotto – ovviamente – finalizzato a mettere da parte una fazione, per liberare lo spazio e farne emergere un’altra. Un “caso” che emerge – eccone un altro – quando bisogna compiere il ‘salto’ tra le logiche interne del movimento e le regole, anche formali, della democrazia.

Nell’assenza della politica, poi, dell’ammissione delle responsabilità che dovrebbero rientrare nel perimetro della politica stessa, ecco invece emergere i legulei, dall’approccio puramente giustizialista. “Ci penseranno i tribunali”, e amen. Nel frattempo, il grillino, nel migliore dei casi, verrà “sospeso”. Una posizione che non significa nulla. E che fa emergere ancora una volta lo iato tra il Movimento e la realtà. Perché i fatti, ad esempio, sono quelli che vedono la stessa Claudia La Rocca, tra i deputati regionali rinviati a giudizio per le firme false, lavorare al programma dello stesso Cancelleri e partecipare alle attività del gruppo parlamentare all’Ars così come era accaduto fino al giorno prima della sospensione (anche quando di ‘auto-sospensione’ si dovesse parlare). Una mossa “di facciata”, appunto. Buona per i comunicati stampa e per le precisazioni sul web. Per raccontare che “gli altri non fanno nemmeno questo”. Ma la realtà è un’altra cosa.


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