"Contatti tra Ciancimino e il Ros" | Cinà nega l'esistenza del 'papello' - Live Sicilia

“Contatti tra Ciancimino e il Ros” | Cinà nega l’esistenza del ‘papello’

Un momento del processo al Bunker dell'Ucciardone

Le dichiarazioni spontanee del medico di Totò Riina.

PROCESSO TRATTATIVA
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PALERMO – Dice di avere saputo dei contatti fra l’ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino, e i carabinieri del Ros, ma nega di avere mai avuto per le mani il cosiddetto papello. E cioè le richieste che Totò Riina presentò ai boss di Cosa nostra.

A parlare è il medico mafioso Nino Cinà, tra gli imputati del processo sulla Trattativa. Fu Vito Ciancimino a dirgli che era avvenuta “tale presa di contatto” ma, aggiunge Cinà nel corso di alcune dichiarazioni spontanee, “senza alcun mio coinvolgimento” e senza che lui avesse mai saputo le ragioni dei contatti.

Con Ciancimino tornò a a discutere dell’argomento: “Ci incontrammo perché voleva essere visitato per motivi di salute nel settembre o ottobre 1992. In effetti mi disse che era molto depresso per la paura di tornare in carcere, mi disse che preferiva morire piuttosto che tornare in carcere. Aggiunse che mi doveva dire una cosa importante, che si erano rivolti a lui carabinieri Mori e De Donno, ma non mi disse né le ragioni né cosa volessero. Voleva mettersi subito in contatto con la controparte (in un passaggio successiva Cinà dirà che si riferiva ai “corleonesi” e in particolare a Riina perché “Ciancimino sapeva che ero il medico di Riina e dei suoi parenti”).

Cinà non aveva una buona considerazione di Cincimino: “Ero sorpreso che si fossero rivolte a lui perché era ambiguo e opportunista. Mi sembrò inverosimile e non mi interessai su cosa volessero i carabinieri. Ma era impossibile che io potessi aiutarli. Non potevo contattare nessuno, potevo incontrare le persone da lui citate solo su loro richiesta e dopo laboriose accortezze. Aggiunsi che aveva più possibilità di me di contattarli”.

Oltre a Cinà e ai boss Leoluca Bagarella e Totò Riina sono a giudizio i vertici del Ros degli anni delle stragi mafiose, il generale Mario Mori, l’ex comandante Antonio Subranni e l’ex capitano Giuseppe De Donno che nel ’92 avrebbero avviato il dialogo con Cosa nostra tramite Vito Ciancimino, il pentito Giovanni Brusca, Massimo Ciancimino, figlio di don Vito. Nella lista anche l’ex senatore di Fi Marcello Dell’Utri e l’ex ministro Antonio Mancino. Tranne Mancino, accusato di falsa testimonianza, e Ciancimino, imputato di calunnia e concorso in associazione mafiosa, rispondono tutti di minaccia al Corpo politico dello Stato.

Cinà, secondo i pm, avrebbe fatto da tramite tra i carabinieri del Ros e i boss corleonesi, consegnando a Massimo Ciancimino il cosiddetto papello con le richieste di Riina allo Stato, da fare avere ai carabinieri: una sorta di ultimatum per far cessare le stragi. L’originalità del “papello” consegnato da Ciancimino ai pm non è mai stata dimostrata, né, nonostante le perizie grafiche effettuate, si è mai riusciti a risalire all’autore.

Cinà definisce “disorganiche, frammentarie e contraddittorie le dichiarazioni di Massimo Ciancimino”, testimone chiave del processo: “Ha dato diverse versioni sul mio ruolo nella trattativa. Che senso aveva portare o ritirare delle buste da Massimo Ciancimino in un bar affollato quando le nostre abitazioni erano vicine?”. Il riferimento è alla presunta consegna del papello in un bar, circostanza che Cinà smentisce: “Non ebbi più modo di incontrare Riina, né esponenti di Cosa nostra mi fecero avere direttamente o tramite altri soggetti alcun documento”.

 


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