Truffata, ma la banca non paga |L'odissea giudiziaria di una donna - Live Sicilia

Truffata, ma la banca non paga |L’odissea giudiziaria di una donna

L'ex compagno le prosciuga i risparmi e il tribunale condanna alcuni responsabili. Tra cui un noto istituto bancario. Che, però, non ottempera.

CATANIA – Oltre al danno, ingente e incalcolabile, anche la beffa. Un’odissea giudiziaria lunga oltre dieci anni che sembra non finire più, nonostante tre sentenze penali passate in giudicato e una civile, anche questa passata in giudicato, che ha quantificato i danni economici identificando i soggetti tenuti a pagarli. Tra cui un noto istituto bancario che, però, si oppone a quanto stabilito dal giudice. È una lunga storia di ingiustizie, quella di Cinzia Marletta, truffata dall’ex compagno, che le ha portato via i risparmi, e costretta a una vera e propria battaglia per ristabilire non solo la verità, ma per tornare a vivere una vita “normale”.

Una battaglia che ha combattuto e continua a portare avanti insieme all’amico e legale di fiducia, Armando Longo, per fare valere i propri diritti, contro una grande banca, il Monte dei Paschi di Siena che, facendo riferimento a una pronuncia delle sezioni riunite della Cassazione del 2013, si è opposta a parte della sentenza del tribunale di Catania che la obbligava al risarcimento di oltre 30 mila euro per imprudente negoziazione di alcuni assegni e negligente gestione dei conti correnti, riconoscendone solo poco più di 11 mila. Il resto delle somme, secondo il MpS non sarebbe dovuto perché riferito a una società, la Delizia e Bontà srl, cancellata dal registro delle imprese nel 2014. Secondo l’istituto bancario, dunque, il credito sarebbe estinto.

Da qui l’azione della signora Marletta e dell’avvocato Longo, contro l’opposizione di MpS. Davide contro Golia, in una battaglia che Cinzia Marletta tende a sottolineare “è combattuta a nome di tutti”. “Potrebbe capitare a chiunque – afferma – quello che è capitato a me. Il senso di Giustizia, la voglia di Giustizia è l’unica cosa che rimane, che ti fa andare avanti, anche se devo ammettere che, quando è arrivata l’opposizione da parte della banca, ho perso quasi la fiducia”.

Difficile darle torto, dopo una causa penale lunga sei anni, vinta in ogni grado, e una civile ancora da definire. “Il senso della giustizia era l’ultima cosa che mi era rimasta dopo tutto quello che mi è successo – dice Cinzia. Sono stata truffata nel momento in cui la mia vita era più in bilico, in tutti i sensi, sia fisico che psicologico, che economico. È stato un inferno – racconta: venire all’improvviso a conoscenza che i tuoi risparmi non esistono più, essere protestata, avere i creditori alla porta”. Cinzia ha avuto problemi anche negli anni successivi, con difficoltà quotidiane con il credito bancario. “Come se fossi io la delinquente – afferma – come se avessi io qualche cosa di male”.

La storia, oggi, assume contorni anche peggiori. Ma Cinzia non molla. “La banca è stata condannata perché ritenuta responsabile – continua – e a me non resta che continuare a credere nella Giustizia perché voglio fare valere i miei diritti”. E cercare di guarire le profonde ferite, ancora da rimarginarsi. “Non ci si può sentire sempre vittima di qualcosa che non si può contrastare – dice – come una truffa, e poi di nuovo, di fronte a una nuova beffa. Resta solo la speranza. E con la volontà di ottenere quello che mi spetta. Non è l’importo in sé, anche perché non si può quantificare il dolore e la disperazione – sottolinea – ma la necessità che sia fatta giustizia”.

“La banca si rifà a una pronuncia delle sezioni unite della Corte di Cassazione del 2013 – spiega l’avvocato Longo, pronto a partire per Siena per l’udienza del prossimo 28 settembre- ma il caso della signora Marletta non rientra tra quelli previsti; inoltre, il giudizio civile è iniziato nel 2009, quattro anni prima di questa pronuncia. In ogni caso – sottolinea – non si tratta di crediti rinunciati, e non si tratta di una cancellazione volontaria. Infine – conclude – andava poi fatto un distinguo sul credito che nasce dal pronunciamento del penale, e non su un credito rinunciato”.

 


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