Cambiano i partiti, non Sgarbi | Biografia di un politico irrequieto - Live Sicilia

Cambiano i partiti, non Sgarbi | Biografia di un politico irrequieto

L'incarico in giunta è solo l'ultimo capitolo di una carriera lunga un quarto di secolo.

PALERMO – L’antipasto è stato succulento. E conoscendo il personaggio, non poteva essere altrimenti. Vittorio Sgarbi sulla poltrona di assessore regionale ai Beni culturali ha fatto subito parlare di sé. Facendo penare immediatamente Nello Musumeci, che ha voluto il critico d’arte nel suo governo in forza del ritiro della annunciata candidatura a presidente della Regione.

La piccola burrasca di inizio legislatura è solo l’ultimo capitolo di una storia ormai lunga, quella dello Sgarbi politico. Il raffinato critico d’arte, conferenziere capace di ammaliare l’uditorio, ha ormai alle spalle una storia politica lunga un quarto di secolo. Che si è sempre incrociata con la sua personalissima cifra di polemista e di anticonformista.

Non sempre però le due vesti, quella del politico e quella di intellettuale fuori dal coro, fanno pendant. E così si arriva al caso della settimana, l’uscita di Sgarbi in tv su Nino Di Matteo, con critiche politiche legittime nel merito – lo stesso Musumeci ha ribadito la libertà di pensiero del suo assessore – ma piuttosto scomposte e infelici nella forma. Quel passaggio “Riina è morto, lui è stravivo”, in una terra di morti ammazzati e di ferite mai cicatrizzate, è stato da brividi. Sgarbi ha tenuto il punto e ha chiuso la questione con un’uscita polemica – e, questa sì, elegante – sul tema del diritto di critica in Sicilia. Forse senza cogliere, da non siciliano, il “di più” nella sua filippica sul magistrato.

È pur sempre Sgarbi, bellezza. Iracondo di successo, ma anche capace di un’affabilità gradevolissima, il critico d’arte vive da sempre di eccessi. E di una indomabile irrequietezza. Il ricco cursus honorum dello Sgarbi politico conta ben quattro legislature da parlamentare nazionale, eletto ogni volta in una regione diversa. La prima volta col Partito Liberale Italiano, eravamo agli sgoccioli della Prima repubblica, poi con Forza Italia e Pdl. Ma già nel ’90 Sgarbi si era candidato a sindaco di Pesaro, con il Pci, dopo trascorsi monarchici giovanili. Sindaco lo è stato due volte, a San Severino Marche (dove fu anche consigliere comunale con il Psi) e a Salemi, sostenuto da Udc e Dc, dal 2008 al 2012, quando poi il Comune venne sciolto per mafia, una decisione che Sgarbi ha sempre contestato perché a suo giudizio assunta “senza una prova”. Prima però, a metà negli anni ’90, c’era stata l’intesa politica con Marco Pannella su una piattaforma liberale. Nel 1996, il critico si candida a sindaco nella sua Ferrara con l’appoggio di Forza Italia e di una lista radicale, arrivando secondo dietro al candidato di centrosinistra. Nei primi anni Duemila l’esperienza di sottosegretario ai Beni culturali al governo con Berlusconi. Lì litiga col ministro, Giuliano Urbani, fino a quando toglie il disturbo con una nota polemica.

A metà degli anni duemila due corse elettorali finite male, quella alle Europee con la lista Liberal Sgarbi-Pri e quella nel 2006 con l’Unione, quindi con salto nel centrosinistra, nella lista Consumatori. Non viene eletto. Nel 2006 il ritorno al centrodestra, assessore alla Cultura a Milano con Letizia Moratti. Finirà male anche con lei, casus belli sarà una mostra sull’arte omosessuale.

E così si arriva alla spumeggiante esperienza salemitana, dove Sgarbi arriva con un big sponsor di peso come il sempreverde democristiano Pino Giammarinaro. Lì restano memorabili una serie di iniziative. Sgarbi tra l’altro inaugura il Museo della mafia, con tanto di benedizione del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, si batte contro gli scempi dell’eolico denunciando interessi mafiosi dietro le pale. Accanto a queste iniziative degne di nota se ne segnalano altre, più mediatiche, dagli illustri assessori “al nulla” (tra cui Oliviero Toscani) a Morgan assessore all’Ebbrezza, e via dicendo. L’avventura finisce con le dimissioni che anticipano lo scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose. Una scelta, quella del governo nazionale, sempre contestata da Sgarbi.

Verranno poi i giorni del Partito della Rivoluzione, la candidatura (con guerra di carte bollate) a sindaco di Cefalù, andata male, la ricandidatura a Salemi con un’altra sconfitta. Poi diventa assessore alla Rivoluzione e alla Cultura a Urbino. Minaccia di dimettersi per un albero di Natale che non gli piace, resta al suo posto e viene attaccato dalle opposizioni per il suo assenteismo(in giunta, dicono, non lo si vede mai). Nel frattempo prova a candidarsi a sindaco di Milano, ma Berlusconi gli preferisce Enrico Parisi (non parlategliene perché ancora oggi lui non se ne capacita). Poi fonda il movimento Rinascimento, insieme a Giulio Tremonti (con cui scrive il libro omonimo, una sorta di programma politico sulla bellezza), annuncia la candidatura a presidente della Regione Siciliana, ma poi si ritira in base a un accordo con Nello Musumeci che lo fa assessore alla Cultura. “Ci davano al cinque per cento, siamo stati decisivi con la nostra desistenza”, osserva Sgarbi. Che arriva alla prima riunione di giunta, parla coi giornalisti fa la foto e se ne va prima della riunione stessa per un altro impegno.

Insomma, i partiti cambiano (e in abbondanza) ma Sgarbi è sempre Sgarbi. Prendere o lasciare. “Porterò via voti a Musumeci perché io ho una storia e lui non ce l’ha. Musumeci alle 22 già dorme, io sono vivo”, disse scendendo in campo in Sicilia, prima di chiudere l’intesa con l’attuale governatore. Che ora forse spera di non perdere troppo sonno per le sue uscite sopra le righe.

 


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