Quella verità che non si può dire | Ecco la rivoluzione del 'Suca' - Live Sicilia

Quella verità che non si può dire | Ecco la rivoluzione del ‘Suca’

foto dal web

La parola più nota si prende la rivincita e sbarca in facoltà. Ora parla di sé. In prima persona.

Suca. Senza offesa. Io sono la parola che non si può scrivere in bella grafia; sui muri vengo sovente segnata con un allusivo rebus grafico: 800A.

Io sono la verità che non si pronuncia. L’azzardo volgare che sgomina il cascame dell’ipocrisia. Ed è giusto che io venga messa al bando, in una società che aspiri alla buona educazione e alla gentilezza, essendo brutta, sporca e cattiva. Ma io sono soprattutto la ribellione, la rivoluzione che non si annuncia, che deflagra, che si espettora da sé al culmine di ogni rabbia e di ogni sfottò. E ho vissuto fin qui alla macchia, in cattività. Poi sono stata sdoganata nientemeno che all’Università.

“S-word. Segni urbani e writing”, si intitola così la tesi di Alessandra Agola, studentessa di Scienze della comunicazione. E quella “S”, modestissimamente, sono io: la vostra vagheggiata parolina Suca che è diventata realtà. Si parla di me. Perciò, portatemi rispetto, voi che avete studiato e meditato, ma ancora credete che la cavalla storna di Pascoli sia un manuale di equitazione pubblicato da un docente di Agraria. Ormai sono laureata, accademica e riabilitata.

Certo, resto malvista proprio per l’esplosione liberatoria e trucida che consente ai palermitani di raffigurarsi tali. Se mi togliete di mezzo, dov’è la differenza tra uno che ha avuto i natali sull’Oreto e un equipollente pargolo di Abbiategrasso? Nel regno del ‘si fa, ma non si dice’, io finisco al rogo, perché ‘dico’, dico tutto, dico senza ritegno. Infinite e variopinte sono le possibilità espressive che tempo e luogo mi consentono.

Un palermitano che si rispetti comincia a usarmi da bambino, dopo che la maestra lo ha rimproverato aspramente. Asciugati i lacrimoni, si precipita in bagno, si guarda allo specchio, ride e mi scopre, iniziando un rapporto che lo accompagnerà per tutta la vita.

C’è chi mi ha rivestito di un’aspirazione egalitaria: “Suca a me e al duca”: dove il duca e l’altro soggetto si specchiano identici nella comunanza dell’invettiva. Una sorta di presa della Bastiglia al pane e panelle. Utilizzatissima risulto allo stadio, nel rilancio del portiere avversario, quando l’offesa sfuma nella dolcezza della goliardia.

Ho avuto perfino un’applicazione letteraria. Roberto Alajmo – nel suo bellissimo ‘Repertorio dei pazzi della città di Palermo’ – narra di una curiosa rappresentazione sacra affidata a due attori che erano due spiritacci iconoclasti e irriverenti. E c’ero immancabilmente io. Colui che impersonava Gesù, non ricordando la battuta, sghignazzando, emise un perentorio “Caifa, suuuuca!”. E l’interprete del gran sacerdote, con teatralissimo gesto, rispose: “A mia e a tutto il sinedrio!”. Accorsero i carabinieri.

Io non mi fermo davanti a nessun paramento. Ecco la forza che mi spinge, quel certo senso di ironia e di smitizzazione che mi rende amatissima – sia pure di nascosto – in ogni circostanza, specialmente davanti al potere, davanti a colui o a coloro che si sentono cinti di una missione, di una corona, di un comandamento. Io sono palermitanissima perché mi identifico nel carattere di un popolo che china apparentemente la testa al cospetto del più forte, ma – sotto sotto – prepara la sua rivincita e la sua eresia, con lo sberleffo.

Infatti, perfino gli altri idiomi che qui conobbero una discreta fama mi riconoscono la superiorità. Quando passeggio, vengo sommersa dai complimenti del signor “Figghi i….”, del dottor “Vafanto…” e della signorina “Mavascassaci…”. Ossequiosi mi salutano, sapendo che sono unica, inimitabile, immortale. Loro sono semplici insulti, io garantisco la rivoluzione e la continuazione della specie. Dove c’è un palermitano ci sarà sempre un muro con la scritta 800A e parole di padre e di madre e inviti a infrangersi le appendici cervicali, eccetera eccetera eccetera.

E ci sarò sempre io, quale ultima forma di una umanità che si appella ai muri e alla labbra, prima che ai social. Io, talmente maleducata, sincera e indisponente. E se non vi piace, sucatevi tutti un pruno. Senza offesa, naturalmente.


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