L'albero di Natale e dei desideri | Così i bambini sognano di guarire - Live Sicilia

L’albero di Natale e dei desideri | Così i bambini sognano di guarire

Paolo D'Angelo e Ilde Vulpetti

Viaggio nel reparto di Oncoematologia pediatrica del Civico. Nel cuore della battaglia.

PALERMO – Sembra la casa dei sette nani, nell’ombra più folta del bosco, ma è l’Oncoematologia pediatrica del Civico. Ti inganni per i piattini, per i tavolini, per le minuscole suppellettili, per quell’aria di fiaba che aleggia, fino a quando una flebo ti riporta alla realtà. Eppure, resta una polvere sospesa, un incantesimo, come se, da un momento all’altro, la porta dovesse aprirsi per lasciare spazio al farfugliare di Dotto, alle linguacce di Brontolo, alla dolcezza di Biancaneve.

C’è una bimba che sgambetta e guida una macchinina rossa, sulla superficie variopinta che copre il pavimento. Paperino osserva, arrabbiato e affettuoso, dalla parete di fondo. Qui ci sono i bambini che hanno addobbato con i loro lavoretti l’albero di Natale a Palermo, con l’aiuto della fondazione Lene Thun. Questi sono i bambini che insegnano ai grandi l’arte di vivere e la pazienza di morire.

E i grandi intervengono, con un professionismo che è generosità incondizionata, gratitudine per un dono tremendo e prezioso. Ilde Vulpetti si occupa dell’Aslti Associazione Siciliana Leucemie e Tumori dell’Infanzia. L’associazione opera al ‘Civico’ da trentacinque anni.

C’è la ludoteca organizzata da Santina, sorriso fresco e occhiali che coprono occhi che ne hanno viste tante. E’ stata lei a comporre ‘l’altro’ alberello di Natale che adorna l’ingresso del reparto, con spicchi di arance, ritagli e fogli di carta. Come si spiega a un bimbo che il suo corpo è stato preso da una brutta malattia? Ilde ci prova: “Con la maggiore delicatezza possibile, con il sostegno dello psicologo, anche con l’ausilio di cartoni animati. Sempre in chiave positiva. Senza illudere, senza mai scoraggiare. Gli si dice che certe cose cambieranno: che i capelli cadranno, che avrà mal di pancia, avendo cura di chiarire che è tutto per il suo bene, perché possa stare di nuovo bene”. Accanto, c’è Loredana, oggi volontaria dell’Aslti, ieri degente e accudita proprio in questi luoghi “Avevo tredici anni, ai tempi della mia diagnosi. Non volevo morire, volevo lottare. Sono qua per ridare un po’ dell’affetto che ho ricevuto”.

“Quando un bambino si ammala – aggiunge Ilde – è tutta la famiglia ad ammalarsi. Ci sono situazioni estremamente critiche: i genitori con un lavoro precario che rischiano di perderlo per accudire il figlio, i fratellini da accompagnare a scuola… Ho visto tanti bambini morire, ma anche guarire. E resto al mio posto perché ho un’esistenza felice e ho scelto di ricambiare col mio impegno. Come gli altri, accetto di essere pronta e di dare una mano”.

Sembra davvero l’ingresso della casetta dei sette nani. Il corridoio su cui cammini, dopo l’ascensore, l’alberello con le arance e la maniglia, si mostra semivuoto. Saranno tutti in miniera, tra quarzi, diamanti, cocci di bottiglia. E lei, la padrona di casa, Biancaneve, starà preparando la torta nella cucina seminascosta. Tutti i sogni e gli oggetti da afferrare sono modellati all’altezza di uno sguardo infantile. La bambina con la macchinetta a pedali ha una flebo attaccata al braccio e un fazzoletto al posto dei capelli.

Nella sua stanza, Paolo D’Angelo, il primario, sbuffa sulle carte che invadono la scrivania. Lui vorrebbe fare soprattutto il medico. Dottore, come muore un bambino? “Può morire male o bene. La percentuale di guarigione è alta. Se dobbiamo affrontare l’ineluttabile, cerchiamo di garantire un trapasso sereno, nel fisico e nello spirito. E’ importante che un bimbo riesca a morire a casa sua, con i suoi giocattoli, il suo animaletto di compagnia, papà, mamma, i nonni e gli zii. Poi ci sono bambini che mi supplicano: ‘Paolo, vorrei restare in ospedale, per piacere’. E questo mi mette sempre molta tristezza”.

La stanza di ‘Paolo’, come lo chiamano qui, con un rispetto che non ha bisogno del titolo, è un calderone di memorie. “Vede la foto appesa al muro? Eravamo in gita in barca con i piccoli e lui non voleva lasciarmi andare”. Lui, un mini-bimbo con le braccia serrate intorno al collo del suo medico, tutti e due immersi nell’azzurro. Ci sono ricordi come quadri impressionisti appesi dentro, sfocati ma intatti. “Non so quale potrei scegliere tra le storie che ho vissuto. Rammento un bambino che non dimenticherò mai più. Aveva sette anni e un sarcoma aggressivo che non lo perdonò. Organizzò la sua festa di commiato, in corsia, per salutare tutti. E incoraggiò i genitori che si sforzavano di non piangere, con il lutto nel cuore. Morì qualche giorno dopo”. L’azzurro degli occhi di Paolo si increspa.

Sulla pagina dell’Aslti si legge di Gemma che narra di sé: “Ho dovuto affrontare cose che solo chi le ha vissute riesce ad immaginare. Eppure, nonostante tutto, ricordo un sacco di momenti felici. Le chiacchierate con Delia mentre faceva la guardia notturna, le battute di Paolo, gli abbracci stritolanti di Mr Papillon, le poesie di Yogi, le pizze proibitissime portate furtivamente in reparto… E già, a 14 anni hai la leucemia e riesci ad essere felice. Sono ormai passati dodici anni dalla diagnosi di ‘Leucemia promielocitica acuta’. Oggi, questa parola non fa più così paura. Oggi ho i capelli, mi sento bene E oggi sono un medico”.

Adesso, nella casetta dei sette nani, c’è silenzio. La bambina con la macchinina rossa continua a pedalare sommessamente. Paperino, sulla parete, si è addormentato. Si aspetta solo che lei sorrida ancora. Lei, la padrona di casa che cucina torte e speranze. Lei, la vita.

 


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI