La città che non denuncia il pizzo | L'economia malata di Palermo - Live Sicilia

La città che non denuncia il pizzo | L’economia malata di Palermo

Uomini del racket in azione

Non solo paura. Favori e connivenze dietro il silenzio dei commercianti.

PALERMO – Se si dovesse fare i conti soltanto con la paura, la prospettiva di successo sarebbe più solida. La macchina del pizzo, però, non è alimentata esclusivamente dal terrore, legittimo, della ritorsione mafiosa.

Nell’ultima operazione che ha colpito i mandamenti di Resuttana e San Lorenzo ci sono nomi che ricorrono. Sono i nomi dei boss che escono dal carcere per tornarvi con una regolarità che scoraggia, ma pure quelli dei commercianti che si piegano al racket. Che molti pagassero la tassa di Cosa nostra era un fatto noto, emerso nei giorni dell’operazione Gotha. Correva l’anno 2006. Anche allora furono convocati e negarono l’evidenza, come hanno fatto nei giorni scorso.

Negano, tornano a casa e ricominciano a pagare. I numeri delle denunce restano irrisori, imponendo una riflessione sul tessuto economico della città. Sono sette le persone che nel 2017 l’associazione Addiopizzo ha accompagnato nel faticoso percorso di liberazione. Si aggiungono ai 19 che si sono costituiti parte civile in processi nati da vecchie operazioni e ancora in corso. Eppure nel solo 2017 sono stati più di cento gli episodi estorsivi ricostruiti dalle forze dell’ordine. Segnali positivi sono arrivati di recente a Bagheria e al Borgo Vecchio, ma parlare di ribellione al racket sarebbe azzardato e pretenzioso.

Chi non denuncia e poi nega una volta convocato in caserma o in commissariato rischia l’incriminazione per favoreggiamento. Anche in questo caso, però, ci si confronta con numeri risibili: sono in tutto 18 le persone che negli ultimi anni sono finite sotto accusa. Per lo più hanno scelto di patteggiare. Lo fanno per liberarsi al più presto di un’esposizione mediatica che a dire il vero non li scalfisce più di tanto. Non potranno più fare affari con la pubblica amministrazione. Un rischio che non incide sul volume di affari. Anzi, nella stragrande maggioranza dei casi l’attività di bar, ristoranti, panifici e quant’altro proseguirà come se nulla sia accaduto.

I carabinieri stanno per denunciare una quindicina di operatori economici di San Lorenzo e Resuttana. Il passaggio all’incriminazione, però, non è per nulla scontato. “La denuncia non è una prassi di comportamento diffusa nel tessuto socio ed economico della città – spiega Daniele Marannano, dell’associazione Addiopizzo -. Ci sono sacche significative di commercianti ed imprenditori che continuano a piegarsi alle logiche di Cosa nostra, perché con l’organizzazione mafiosa hanno instaurato un rapporto di contiguità, anche se non di natura illecita”.

Ed ecco il cuore della questione. Il commerciante negli anni ha instaurato con l’estorsore un rapporto di do ut des. Gli chiede aiuto per recuperare crediti, per sbarazzarsi della concorrenza, persino per zittire l’impiegato che si è messo in testa di fare una vertenza perché lavora in nero.

Qualche anno fa un commerciante aprì una macelleria nella zona di viale Michelangelo. Per accaparrarsi i clienti aveva puntato sulla politica del basso prezzo. E così qualcuno che stava lì da tempo chiese l’intervento del mammasantissima del quartiere. Il neo arrivato fu costretto ad alzare i prezzi. Stessa cosa con il pesce nei mercati del Capo, dove un commerciante si rivolse al reggente del mandamento, Paolo Calcagno per calmierare il prezzo delle vongole.

In via de Cassari, alla Vucciria, c’era il pub “N’cantu” che proprio Calcagno avrebbe intestato a un prestanome. Su indicazione del titolare di un altro locale di piazza Garraffello due ragazzini avevano spostato i cassonetti della spazzatura, piazzandoli davanti al pub del boss. Giuseppe Spitaliere, considerato il prestanome di Calcagno, chiese spiegazioni e i cassonetti tornarono al loro posto. Per buona pace di chi aveva tentato il colpo di mano.

Il recente blitz contro i mafiosi del Borgo Vecchio ha consegnato alle cronache la foto di una mafia che investe. Agenzie di scommesse, panifici, bar, ristoranti, negozi di detersivi sono intestati a prestanome che per poche centinaia di euro fanno da schermo ai mafiosi. Capita così che i nuovi boss siano anche operatori economici. Sergio Napolitano, ad esempio, avrebbe gestito il Bar Hilton in via Libertà, mentre Filippo Bonanno aveva un panificio in viale Strasburgo. Senza contare che tanti negozianti prestano volentieri i locali delle proprie attività per organizzare riunioni di mafia.

Tanti, troppi interessi, diretti e indiretti, legano i commercianti ai boss. E siccome, da sempre, anche i membri dell’organizzazione sono tenuti a contribuire economicamente, ecco spiegato il numero eseguo delle denunce. Ci sono coloro che hanno paura e coloro che non denunciano per connivenza e convenienza. Magari sono amici e parenti degli stessi che gli chiedono il pizzo. E poi ci sono i commercianti che riescono da soli ad evitare di pagare, accettando di rifornirsi da qualche ditta segnalata oppure accogliendo qualche richiesta di assunzione. E ci sono pure quelli che non ricevono la visita degli emissari del racket perchè questi ultimi sanno che saranno denunciati.


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