Sant'Agata torna al Duomo |Il saluto dei devoti - Live Sicilia

Sant’Agata torna al Duomo |Il saluto dei devoti

Il solenne Pontificale, l'uscita dalla Cattedrale, la processione.

CATANIA – Rientra in Cattedrale dopo 18 ore di processione. Per vedere di nuovo San’Agata il popolo dei devoti dovrà attendere l’Ottava. Termina con la pioggia, così com’era iniziata, la tre giorni agatina.

La Festa di Sant’Agata entra nel vivo. Via Etnea è illuminata dai ceri votivi: snobbata, dunque, l’ordinanza sindacale (GUARDA LE FOTO). Nonostante la pioggia, una folla di devoti ha accolto l’uscita dal Fercolo dalla Cattedrale, preceduta dai tradizionali fuochi d’artificio. Le candelore aprono il tradizionale giro interno.

Questa mattina si è svolto il solenne Pontificale, officiato da  Sua Eminenza il Card. Gualtiero Bassetti (Presidente della Conferenza Episcopale Italiana). Parole cariche di fede quelle di Assetti, per salutare il momento più atteso di tutta la tre giorni.

“Carissimi fratelli e sorelle di Catania, vi porto il saluto della dolce Umbria, antica terra di santi, e l’abbraccio amorevole di tutta la Chiesa italiana. Saluto con affetto tutti i presenti, con un particolare pensiero per S. Em. il cardinale Paolo Romeo, gli arcivescovi, i vescovi, i sacerdoti, i diaconi e tutti i consacrati. Porgo il mio deferente omaggio alle autorità civili e militari qui convenute, in particolar modo al nuovo presidente della Regione.

Ringrazio l’arcivescovo Mons. Salvatore Gristina, cui mi lega un’amicizia più che ventennale, e il Signor Sindaco Avv. Enzo Bianco per l’invito che mi hanno rivolto a presiedere le celebrazioni in occasione della Festa di Sant’Agata, patrona della città di Catania. Una delle sante più amate e ricordate fin dall’antichità, il cui nome viene ricordato nel Canone romano. Venerata da tutta la cristianità, l’effige di Sant’Agata si trova nelle chiese di mezza Europa e dell’Asia Minore. A Sant’Agata è anche intitolata una delle chiese più antiche di Perugia. È il simbolo di una vocazione verginale interamente consacrata a Dio, testimone fedele delle beatitudini evangeliche fino all’effusione del sangue. Icona venerata dai credenti, ma anche da coloro che, pur non avendo fede, scorgono nel suo sacrificio l’eroicità di una vita che non si piega al sopruso, al ricatto e alla violenza.

La prima lettura ci parla della persecuzione contro degli innocenti la cui colpa è unicamente quella di osservare le leggi divine e solo a Lui rendere culto. Il Libro dei Maccabei descrive le torture e la morte atroce di sette fratelli che non si piegano al volere del tiranno, empio e scellerato. Essi sanno che il Signore Iddio può ridare loro la vita, se la sacrificano per le sue sante leggi e con tanta forza e dignità vanno incontro al martirio. La sorte dei primi cristiani non è dissimile da quella dei pii ebrei perseguitati dal re Antioco, ormai corrotto dal paganesimo imperante.

Nella seconda lettura l’apostolo Paolo ci ha detto che: “In ogni cosa ci presentiamo come ministri di Dio con molta fermezza: nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angosce, nelle percosse, nelle prigioni … siamo puniti, ma non uccisi; afflitti, ma sempre lieti; poveri, ma capaci di arricchire molti; non abbiamo nulla e invece possediamo tutto” (cfr. Cor. 6, 4-10). L’uomo e la donna di fede sono messi duramente alla prova, ma confidano in Dio. Sanno che anche i capelli del loro capo sono contati e che la loro vita è nelle mani del Signore. Non temono la morte, perché sanno che essa è la porta che si spalanca sulla vita eterna.

Stiamo parlando di uomini e donne dalla fede autentica, incrollabile; dalla vita misticamente unita al quella del Signore Gesù, il primogenito che è risuscitato dai morti. Tra questi testimoni, ricordiamo oggi Agata, giovane donna appassionata di Cristo, dal cuore ricco di bontà e di fierezza, figlia autentica di questa splendida terra siciliana. Il nome della ragazza, perseguitata con cattiveria durante l’impero di Decio, rimanda alla bontà, alla nobiltà d’animo, alla gentilezza. Agata, infatti, ci indica e ci testimonia, con il suo sacrificio, un amore ed una fiducia in Dio che né la morte né la sofferenza possono offuscare. La morte di Agata, come di molti cristiani a quel tempo (ma, purtroppo, anche oggi), è il prezzo che lei ha dovuto pagare per aver messo a morte una certa immagine di “dio” sulla quale poggiava il sistema religioso e socio- politico antico e sulla quale si basa anche la società utilitarista e relativista odierna, con i suoi nuovi idoli.

Agata muore gelosa ed innamorata della paternità del suo Dio, nella certezza che egli mai l’avrebbe abbandonata e privata della sua presenza affettuosa e premurosa. Il Dio di Agata non è assente o indifferente, non è lontano ma ben radicato nella sua vita. Agata ne ha fatto esperienza nel suo cuore, dove non vuole che penetri la freddezza delle logiche puramente umane che animano i suoi persecutori. La torturano amputandole il seno, deturpandola della sua femminilità e della sua potenziale maternità. Non comprendono che il nutrimento che Agata vuole dare ai suoi “figli” è il suo sangue, “seme di nuovi cristiani” come dirà lo scrittore romano ed apologeta cristiano Tertulliano. E se il corpo della nostra martire rotola, per volontà di Quinziano, sui carboni ardenti, non così la sua fiducia in Dio, resa salda dalla preghiera. Non a caso, la sua fermezza e femminilità la rendono ancora oggi protettrice del popolo che a lei si affida, anche contro la violenza degli elementi infuocati.

Anche la nostra vita a volte sembra rotolare su carboni ardenti, che la feriscono, la consumano e la deturpano della sua bellezza. Al tempo stesso l’aria paganeggiante che spesso respiriamo ci invita, a volte anche in maniera pressante, ad incensare e venerare i vari dèi del pantheon odierno, tra i quali il nostro io. Ciò significa perdere la libertà e divenire schiavi di idoli che ci illudono di renderci felici mentre, lentamente, ci strappano dalle nostre radici cristiane, rendendoci deboli, fragili e soli. Cedere dinanzi alle lusinghe del mondo vuole dire, pian piano, rinunciare a valori sacri, come l’amore per la vita, l’amore per la giustizia e, in particolar modo, il valore dell’onestà, sommerso spesso sotto la coltre della illegalità.

Papa Francesco, sin dall’inizio del suo pontificato, non ha lasciato spazio ad alcun fraintendimento su questo tema e ci ha invitato a rafforzare i legami sociali e a realizzare il bene comune. Questa piaga sociale, come altre derive, non si può curare soltanto con l’intervento della giustizia. L’onestà prima di tutto nasce dal cuore. Se nel nostro intimo non abita quell’amore per il bene e per i fratelli, non abbiamo compreso il messaggio cristiano e il martirio di Agata non ci dice molto. Si è disposti al sacrificio solo se si ha un cuore ricco di fede e di amore.

E questo riguarda anche le giovani generazioni in balia di una società ormai priva di punti di riferimento come la famiglia, l’educazione, il lavoro. I giovani sono molto spesso lasciati soli; persi in quel mondo virtuale che si costruiscono: mondo ingannevole e privo di senso. Il malessere spesso sfocia in rabbia e violenza e le periferie esistenziali sono lo scenario opaco di tanta solitudine.

Ieri, con la Chiesa italiana abbiamo celebrato la Giornata della Vita. Non posso non ricordare quanto avvenuto sabato scorso a Macerata: “Il terribile gesto di violenza è segno di un disagio sociale che nasce dall’insicurezza e dalla paura: esso non può trovare giustificazione alcuna, né essere sottovalutato nella sua oggettiva gravità. Mentre ci chiniamo sulla vita nascente perché possa trovare accoglienza e sostegno, dobbiamo fare ogni sforzo per custodire la qualità della vita delle nostre città, favorendo inclusione e sicurezza”. Bisogna dire no alla xenofobia, al rancore sociale e agli “imprenditori della paura”: dobbiamo unire l’Italia, “ricucire” le nostre comunità. In nome di Dio invochiamo sobrietà, pace e dialogo!

Carissimi fratelli e sorelle, tornando ai giovani, la Chiesa, che si appresta a celebrare un Sinodo per loro, sente come propria la missione di avvicinare il mondo dei giovani, di tanti ragazzi e ragazze, spesso sfuggenti e intristiti. La giovane Agata ci aiuti a capire questo mondo, a coglierne i desideri e la voglia di vivere, di realizzazione e di appagamento, e le inquietudini dei nostri ragazzi. Agata non esita a patire con Cristo, nella convinzione che l’amore è passione. Come Gesù, ella accoglie con la preghiera la sofferenza pur di rimanere libera. Amare gli altri, per Dio, ha comportato il suo aprirsi alla sofferenza. Amare significa essere disposti a soffrire per le persone che si amano. Ma spesso, questo, questo non viene messo in conto. L’amore viene spogliato della croce, rimanendo così un sentimento evanescente e privo di consistenza. Ricordare oggi la passione ed il martirio di questa giovane ragazza può significare per tutti noi il voler riscommettere sull’amore in maniera seria: “Dio è amore”.

L’amare rimanda all’essere disponibili all’accoglienza dell’altro fino alla compassione, che è “patire insieme”. Amore e croce si intrecciano in maniera indissolubile e, per Agata, ciò ha rappresentato quella porta spalancata che le ha permesso di affacciarsi sul mistero di Dio e su quello dell’uomo. Sarebbe bello che tutte le “A” maiuscole, che in questi giorni campeggiano sui balconi della vostra amata città, idealmente, sventolassero ovunque: “A” come Agata, “A” come Amore. Per intercessione della nostra celeste patrona, chiediamo al Signore che ci aiuti a perseverare nel nostro cammino verso di Lui. Amen!


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