Le relazioni della mafia militare |I verbali del pentito Musumarra - Live Sicilia

Le relazioni della mafia militare |I verbali del pentito Musumarra

Omicidi, droga e relazioni pericolose della mafia. (Nella foto l'omicidio di Turi Leanza)

I CLAN DI CATANIA
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CATANIA – C’è un killer pentito nella mafia militare catanese che sta fornendo agli inquirenti un contributo importante per incastrare boss ed esponenti di punta dei clan più agguerriti. Il suo nome è Francesco Musumarra, uomo di spicco del clan “Morabito-Rapisarda”, egemone a Paterno e affiliato al clan Laudani di Catania.

La collaborazione inizia nel 2014, Musarra, in quel momento è organico al gruppo mafioso Rapisarda e si accusa dell’omicidio di Turi Leanza e del tentato omicidio di Giamblanco. Le sue dichiarazioni vengono analizzate con attenzione e risultano, secondo la magistratura, veritiere.

CLAN SANTANGELO – “…Posso riferire – dice il pentito – in ordine agli esponenti del clan Santangelo “taccuni” sia per quanto mi è stato riferito durante la mia detenzione dal 2008 all’ottobre 2013 sia per quanto appreso direttamente durante il successivo anno di libertà. Ho conosciuto Santangelo Alfio, capo storico del clan dei Taccuni di Adrano nel febbraio del 2010 presso il carcere di Voghera dove siamo stati codetenuti sino ad ottobre 2013. Ricordo che lui era al primo piano ed io al secondo. In questi oltre tre anni di detenzione abbiamo avuto modo di discutere di varie cose. In un primo momento lo stesso mi chiese spiegazioni del perché il nostro gruppo si era avvicinato a nino detto “trenta lire” a suo fratello Alfredo e tale Alfio detto Mazzuni che sono gli autori di un omicidio avvenuto ad Adrano circa un anno prima e per il quale sono stati condannati. Ricordo che il predetto Alfredo “trenta lire”poi è morto in carcere”.

LE ALLENZE – Secondo il pentito, il clan era in stretti rapporti con alcuni Giuseppe Scarvaglieri. “Io sapevo – spiega il collaboratore – che noi eravamo alleati con Pippo Scarvaglieri e quindi anche con i fratelli detti “trenta lire” ma in quel momento dissi che non sapevo nulla e non diedi spiegazioni. Successivamente io per un processo fui appoggiato al carcere di Brucoli e lì ero detenuto con Nino Crimi, genero di Alfio Santangelo e componente del clan, e con Carmelo detto “U tignusu” e tale Turi “U sceccu” tutti del clan Taccuni. Era detenuto a Brucoli anche Nicola Ciadamidaro, imputato per il triplice omicidio insieme ai fratelli detti “trenta lire” che era del gruppo degli Scalisi nostri alleati. Fu in occasione delle prime udienze del processo Baraonda nei primi mesi del 2011. In tale occasione Nino Crimi diede uno schiaffo a Nicola Ciadamidaro io intervenni a difesa di Nicola e lì nacque un diverbio da un lato Crimi, Melo u Tignusu e Turi u Sceccu, dall’altro lato io, Nicola Ciadamidaro e poi intervenne anche Turi Battaglia fratello di Santo pure del clan Laudani”.

L’INTERVENTO DEL PADRINO – Nella discussione sarebbe intervenuto anche Natale D’Emanuele. “Poi Battaglia – continua il collaboratore – disse che aveva sistemato la cosa ma quando tornai a Voghera Santangelo Alfio mi contestò tale fatto dicendo che così poteva finire a “faida”. Poi quando sono uscito in più occasioni ho avuto modo di parlare con lui e suo genero Nino Quaceci. In particolare ricordo che sia Pippo Scarvaglieri, nostro alleato, sia il Santangelo volevano uccidere Franco Coco, allora reggente del clan scalisi di Adrano, ed io su incarico di Turi Rapisarda ed anche di Pippo Scarvaglieri, che me lo aveva detto in precedenza a Bicocca, andai a parlare di tale omicidio con il Santangelo. Ricordo in particolare, prima dell’omicidio Leanza, che andai da Alfio Santangelo per parlare di tale omicidio….”

“UCCIDIAMO COCO” – Di rilievo le dichiarazioni su alcuni fatti di sangue. “Il Santangelo mi disse – spiega Francesco Musumarra – che anche loro volevano uccidere il Coco come avversario e quindi chi prima arrivava avrebbe compiuto l’omicidio. Con Santangelo vi era anche Quaceci che è l’attuale reggente del clan per conto dell’anziano Santangelo Alfio. Dunque io personalmente anche dopo la scarcerazione ho parlato con Alfio taccuni e con Quaceci quali responsabili del clan Taccuni ma so che sono partecipi a tale clan, sia perché li ho conosciuti in carcere sia perché mi è stato detto Nino Crimi, i nipoti di Alfio Santangelo già arrestati per droga ed uno di nome Alfio, poi conosco Ignazio Vinciguerra detto A cascia….”.

DROGA – Il collaboratore svela anche i particolari dell’organizzazione del clan sul traffico di droga. “So per certo che gli stessi hanno un traffico di stupefacenti perché di recente sono andato con Nino Magro e con Vincenzo Salvatore Rapisarda ad Adrano per cercare di sistemare un conflitto tra i Santangelo e gli Scalisi rappresentati da Alfredo Mannino e Pietro Severino. In tale occasione il motivo di conflitto è che Santangelo voleva acquisire una piazza di spaccio che Pippo Scarvaglieri sostiene essere storicamente degli Scalisi. In tale occasione Santangelo Alfio disse che potevano lavorare tutti insieme nella stessa piazza di spaccio…”.

 


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