Rifiuti, vittoria della Oikos al Cga |"Interdittiva antimafia fu illegittima" - Live Sicilia

Rifiuti, vittoria della Oikos al Cga |”Interdittiva antimafia fu illegittima”

Illegittimo anche il commissariamento allora disposto dalla prefettura etnea.

La sentenza definitiva
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CATANIA – E’ stata definitivamente dichiarata illegittima l’interdittiva antimafia che nel 2014 colpì la Oikos Spa, la società titolare della discarica Valanghe d’Inverno a cui fa storicamente capo il re dei rifiuti Domenico Proto. E altrettanto illegittimo sarebbe stato, dunque, anche il commissariamento (costato migliaia di euro) disposto all’epoca dalla prefettura etnea. Il verdetto finale è arrivato dal Cga che con una sentenza emessa poche ore fa ha ribadito che non c’era alcuna prova di condizionamento o infiltrazione mafiosa tale da giustificare l’emanazione del citato provvedimento nei confronti della Oikos. Il colpo di scena giudiziario risale in realtà allo scorso anno, (LEGGI) quando il CGA aveva già fatto decadere l’interdittiva sospendendo l’esecutività della sentenza che in primo grado aveva, invece, dato torto all’azienda.

La società già all’indomani del provvedimento emesso dall’allora prefetto catanese Maria Guia Federico aveva, infatti, intrapreso una dura battaglia legale per riprendere in mano le redini della società. E soprattutto in questi anni ha portato avanti una crociata senza precedenti nei confronti del pool di commissari piazzato a Catania dall’ex prefetto. La questione dei compensi d’oro intascati dai funzionari era stata anche al centro di numerose polemiche e interrogazioni parlamentari.

La Oikos dinanzi i giudici ha lamentato “l’ingiustizia subita per eccesso di potere giurisdizionale sotto i profili del travisamento dei fatti, del difetto di istruttoria, e della illogicità e carenza di motivazione”. Il CGA – nella trattazione di merito della sentenza emessa il 16 dicembre del 2016 ha riconosciuto che non c’erano gli estremi per confermare l’interdittiva. Il provvedimento era stato emanato a margine del legame instaurato dalla OIkos con la IPI (società romana a sua volta colpita da interdittiva). Le due società, riunitesi in ATI, erano infatti entrambe titolari dell’appalto, aggiudicato nel 2011, del servizio di nettezza urbana per la provincia di Catania. Il ricorso era anche indirizzato al Comune di Catania che si è costituito in giudizio. L’azienda – difesa dagli avvocati Giovanni Immordino, Giuseppe Immordino e Rocco Mauro Todero – ha ribadito la natura occasionale dell’appalto. “Le due società – precisano i giudici – hanno da sempre inteso mantenere, nel mercato e per tutto quanto non concerne l’appalto in questione, ciascuna la propria autonomia; e che fra esse non si è realizzata, in concreto, alcuna integrazione istituzionale né costituito alcun vincolo strutturale stabile e duraturo”.

La Ipi si sarebbe cioè limitata a partecipare alla gara insieme ad OIKOS, ma fra loro non ci sarebbe stato alcun legame commerciale ed economico che potesse far ritenere che le due agissero come una cosa sola o con un’unica intenzione, come hanno chiarito i giudici: “Le società hanno dato esecuzione al contratto di gestione del servizio di raccolta dei rifiuti urbani del Comune di Catania sempre separatamente, ciascuna prestando servizio nella sola parte di territorio ad essa assegnata; e – almeno apparentemente e fino a prova contraria (che però non sembra sia stata fornita) – senza alcuna commistione o comunanza gestionale”. Anche a livello contabile la gestione dell’appalto era divisa e indipendente fra le due aziende.

E altrettanto illegittimo è per i giudici il principio di “estendibilità induttiva in forza del quale (come per effetto domino) l’interdittiva va estesa anche all’impresa che abbia costituito una società con un’impresa a sua volta già colpita da analogo provvedimento interdittivo la società”. Il collegamento temporaneo alla Ipi non avrebbe cioè comportato alcun effetto di “contagioso”. “Né può essere attribuita – scrivono ancora i giudici – alla Oikos una qualche responsabilità a titolo di colpa per il puro e semplice fatto di aver partecipato alla gara (in raggruppamento temporaneo) con IPI società colpita da informativa antimafia, e perciò stesso considerabile, per così dire ‘infetta’ e contagiosa”. Anche perché “l’interdittiva a carico della Ipi è sopraggiunta, precisa il Cga, “solamente nel mese di giugno del 2014 e cioè ben dopo l’instaurazione del “contratto” fra quest’ultima e la Oikos. E quindi in “tempo non sospetto” e perciò la Ipi “non poteva affatto essere ritenuta un’impresa mafiosa o contigua alla mafia”. E qui il Cga è durissimo nei confronti della prefettura di Catania precisando che al momento dell’instaurazione dell’ATI “la pericolosità qualificata dell’IPI non era ancora emersa e probabilmente non sussisteva neanche; ed evidenzia l’errore logico-giuridico – basato su una ‘inversione cronologica’ (nelle scienze logiche definita “anacronismo”) – in cui è caduta la Prefettura”. Il CGA spiega, inoltre, che in ogni caso la Prefettura di Catania non ha prodotto elementi tesi a dimostrare che vi sia stato un qualche tentativo di condizionamento in danno della OIKOS: “non risulta in atti che l’Amministrazione si sia interrogata in ordine alla eventuale sussistenza di possibili esimenti o scriminanti”, scrivono ancorai giudici.

Tuttavia, non sarebbero mai state del tutto chiare le ragioni che portarono la prefettura ad emettere l’interdittiva nei confronti della Oikos. Inizialmente, si era ipotizzato che il provvedimento fosse stato emanato in ragione dell’inchiesta giudiziaria palermitana “Terra Mia” che aveva coinvolto Domenico Proto insieme all’ex funzionario della Regione, Vincenzo Cannova, entrambi accusati di corruzione. Ma anche su questo punto, il giudice già in primo grado aveva ribattuto che non esistevano elementi di colpevolezza rilevanti e meno ancora condanne. “Nessuna delle misure adottate dalla autorità giudiziaria o dagli organi di Polizia possa essere ritenuta rilevante ai fini della emissione del provvedimento interdittivo: o perché non si è mai giunti all’irrogazione di misure cautelari o di condanne, o perché le misure di prevenzione proposte non hanno superato il vaglio giurisdizionale”.

È così, dunque, che viene cancellato il commissariamento delle due ditte IPI e Oikos. Benchè, la prefettura etnea aveva allora ribadito che il decreto di commissariamento fosse stato emanato a seguito della richiesta avanzata  dall’Autorità Anticorruzione, Raffaele Cantone. Adesso, – come confermato a LiveSicilia dall’avvocato della Oikos, Rocco Mauro Todero – i commissari dovranno però restituire gli stipendi percepiti. A comporre il pool di amministratori straordinari nominati dal prefetto erano per l’Ipi l’avvocato Giuliano Fonderico, il commercialista Maurizio Cassarino e l’ingegnere ravennese Riccardo Tenti; per l’Oikos il generale dei Carabinieri, Carlo Gualdi, già vice comandante generale dell’Arma, oltre a Cassarino e Tenti. La prefettura aveva pubblicato on line gli emolumenti corrisposti agli amministratori: cifre che toccavano quota 45 mila euro al mese. 

E a cantare vittoria sono i vertici della OIkos assieme ai legali. “Dopo una battaglia giudiziaria durata quasi quattro anni – afferma l’avvocato Todero – siamo riusciti a restituire l’onore ad un’impresa siciliana che opera in un mercato difficilissimo come quello dei rifiuti. Ringrazio tutti coloro che hanno sempre creduto nella bontà di questa battaglia a partire dagli avvocati Giovanni e Giuseppe Immordino e dalla compagine sociale della OIKOS s.p.a che ha creduto nell’opera del collegio difensivo. Mi auguro che la società possa tornare ad essere leader nel proprio mercato e a distribuire valore economico ad utenti, lavoratori e proprietari. Voglio sperare che la Regione siciliana decida adesso di riconsiderare la condotta sin qui discriminatoria adottata nei confronti della società”, conclude Todero.

 

 

 

 

 


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