Palermo poverissima e disperata | "Sì al reddito di cittadinanza" - Live Sicilia

Palermo poverissima e disperata | “Sì al reddito di cittadinanza”

foto generica

Il grido dell'arcivescovo. La miseria in città. Parlano i parroci e gli uomini di buona volontà.

Quanto è povera Palermo, con le sue ombre che cercano qualcosa, qualsiasi cosa, in fondo ai cassonetti, con i suoi impiegati a cottimo che hanno una giacca, ma con lo stipendio non riescono a campare la famiglia e chiedono aiuto alla parrocchia. Quanto è lontana da se stessa Palermo, divisa in accampamenti che non si parlano, separata da ponti levatoi, eppure trasversale nella miseria: la maledizione seminata ovunque.

Quanto è dannata Palermo, con il suo alto che non guarda il basso, con i suoi sazi che non credono ai diuni, col miraggio di una lancinante bellezza che non incontra mai la necessità degli straccioni. E c’è una sparuta aristocrazia della raffinatezza, del culturame, e dell’aperitivo che nulla sa dei miserabili, anzi, li tratta con sprezzo, come arredi urbani fuori posto.

Venerdì scorso, si è levato, fortissimo, il grido dell’arcivescovo Lorefice: “Una politica distante, che diventa, per certi aspetti, cortile, dimentica il sangue e la sofferenza della gente e di quanti oggi vivono in uno stato di povertà avanzata. Il nostro Paese è in ginocchio e di questo bisogna prendere atto e occuparsi”. E si riferiva, appunto, al Paese, alla cartina geografica nazionale, l’appassionata invettiva di don Corrado. Ma l’occhio cerca sempre un riferimento in ciò che è più prossimo. Dunque, Palermo poverissima che, con le sue piaghe, rientra a perfezione in quella denuncia. E la sopravanza.

Don Cosimo Scordato, parroco all’Albergheria, conosce a memoria la profondità del disagio. Qualche tempo fa, dalla sua chiesa, ha incrociato le lame della polemica con il presidente dell’Ars, Gianfranco Miccichè, sulla questione dei super-stipendi. “La povertà da noi lascia segni indelebili – dice adesso -. Il vero dramma è la mancanza di lavoro, non scopro niente di nuovo. Non c’è sicurezza, non esistono quasi più percorsi garantiti. Racconto l’ultima notizia: alcuni ragazzini del quartiere non vanno scuola per un problema dermatologico. I genitori non possono pagare il medico e loro rimangono a casa. Cercheremo di aiutarli. Vorremmo aprire un ambulatorio per chi non può sostenere le visite, vedremo se sussistono le condizioni”. La discussione declina su un piano politico, richiamato dalle elezioni del 4 marzo. Don Scordato riflette. “Il reddito di cittadinanza, eventualmente, sarebbe una buona idea? Penso di sì. Altrove è stato realizzato con qualche successo. Però, da noi dovrebbe essere accompagnato da spazi occupazionali disponibili, da un cambio di mentalità vero”.

Don Antonio Garau, parroco a Borgo Nuovo, è allarmato, pur essendo un uomo che non si sgomenta facilmente: “La situazione è veramente preoccupante. La gente non sa più a chi rivolgersi. Lavoro non ce n’è… oppure è sommerso. La nostra Palermo non riesce a riemergere. Sì, il reddito di cittadinanza potrebbe risultare utile, se sostenuto dalla serietà dell’impegno. Faccio un esempio: io ti do un tot al mese e tu ti adoperi per servizi alla comunità. In parrocchia diamo una mano a cento famiglie. Bollette, cibo, spese mediche, abbiamo l’imbarazzo della scelta”.

Ecco il ritratto del ‘Paese’ di don Corrado Lorefice, evocato in quel grido e fotografato nella sua porzione più triste da chi combatte per migliorarlo, dalle trincee delle parrocchie eroiche e desolate. Lì, dove si soffre di più.

Breve parentesi laica. Renzo Messina è una delle impalcature della Comunità di Sant’Egidio in città. Racconta: “Gli eventi che sconvolgono un’esistenza sono tanti: si perde il posto, ci si separa… Purtroppo, non esistono paracadute, se cominci a precipitare non ti fermi più. I dormitori sono pieni, tanta gente dorme in strada. Noi, al Capo, col nostro centro di distribuzione, prestiamo soccorso a circa quattrocento famiglie. Ci sono nuclei familiari allargatissimi che sopravvivono grazie alla pensione della nonna. Non dico di no per principio al reddito di cittadinanza, se organizzato bene. Una vicenda che descrive i tempi? Ho in mente un ricercatore universitario che si appoggia a noi per la spesa. Lui ha fatto il suo: ha studiato, si impegna, ma la politica dov’è?”.

Don Mimmo Napoli incalza: “Ci sono malati che non possono permettersi nemmeno lo sciroppo. C’è il dramma degli sfratti, c’è la mancanza concreta del pane. Chi si occupa della dignità umana?”. E don Mimmo non opera in periferia, è il parroco del ‘Don Orione’ che lambisce zone residenziali, sede di una borghesia che si credeva al riparo.

Mario Sedia, vicedirettore della Caritas, usa un’immagine nitida per descrivere i colori della medesima catastrofe: “E’ il sistema dei vasi comunicanti, delle povertà collegate. Non hai il lavoro, i figli non studiano più; poi, via la casa, la cura per la salute. Le famiglie e i giovani sono le figure che soffrono maggiormente. Come se ne esce? Con un cambiamento di paradigma culturale che conduca la comunità e le persone al centro del discorso. Quando accadrà? Non lo so. Ma accadrà”.

Intanto, nel presente, ci sono ombre che brulicano sui cassonetti in cerca di sussistenza, tra l’Albergheria e Borgo Nuovo. Basta compiere un safari con la macchina e illuminare la notte, per rintracciare i palermitani contemporanei, alberi tagliati, spogliati di ogni speranza. Il guizzo delle luci di posizione è un ristoro momentaneo, ma è la notte che resta e che regna. Povera, poverissima Palermo.


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