Beni culturali e concorsi infiniti | Ora la Regione rischia la stangata - Live Sicilia

Beni culturali e concorsi infiniti | Ora la Regione rischia la stangata

La storia dei restauratori e degli archeologi, vincitori ma senza un posto. Sull'amministrazione il rischio di un maxi risarcimento.

C’era una volta mamma Regione che bandiva concorsi e assumeva personale. L’ultimo, nel settore dei Beni culturali, risale all’aprile del 2000, firmato dall’allora assessore Salvatore Morinello, avrebbe dovuto colmare il vuoto d’organico nei ruoli tecnico-scientifici preposti alla tutela del patrimonio culturale. Un concorso che sfocerà in un vero e proprio paradosso. Ma adesso, a distanza di 18 anni, la Regione rischia una vera e propria stangata da 8 milioni di euro.

Eppure, quel concorso sembrava una vera e propria “boccata d’ossigeno”, per i 376.749 aspiranti che decisero di tentare la sorte. Una maxi selezione per soli titoli di studio con 797 posti di lavoro nella Pubblica Amministrazione, suddivisi in 19 figure professionali, di cui 347 da dirigente per i laureati (archeologi, antropologi, chimici, storici dell’arte…), e 450 assunzioni da assistente per i diplomati (geometri, restauratori…). Le aspettative erano alle stelle ma la favolosa chance occupazionale siciliana era invece nata sotto una stella cattiva.

La Regione siciliana ha competenza esclusiva sui beni culturali dal 1975, mentre l’Assessorato è stato istituito nel 1977 con la legge 80. Il modello autonomistico rinnovato nel 2000 dalla legge Granata, è riconosciuto di gran lunga più avanzato di quello dello Stato. Purtroppo è stato tradito dal nuovo assetto voluto da Crocetta.

Inizialmente la pianta organica dell’Assessorato prevedeva 55 restauratori e oltre 200 operatori tecnici, ma al primo concorso, nel 1984, ne fu assunto solo uno. Sino al 2000, quando vengono messi a bando ben 97 posti di Assistente tecnico restauratore.

Tra le categorie di aspiranti al posto fisso quella dei restauratori è tra le più beffate anche se non piange da sola. Dopo cinque anni dal concorso, nel novembre del 2005, in un susseguirsi di ritardi estenuanti, viene pubblicata la tanto attesa graduatoria, seguita da una serie di ricorsi al Tar da parte degli esclusi, che nel 2006, ricevono il parere favorevole alla riammissione da parte dello stesso Tribunale. L’Assessorato però non procede alla stesura definitiva preludio alle assunzioni: toccherà aspettare infatti il 2011. Tutto risolto? Macché. Nel frattempo, nel 2008, è stata varata la legge che prevede il blocco delle assunzioni alla Regione e negli enti collegati. Quindi pit-stop obbligatorio per tutti.

Ma non è ancora abbastanza: arriviamo al 2015, quando l’assessorato per i Beni culturali dichiara di non avere più bisogno di quelle figure: “Non sussiste più l’interesse alla prosecuzione delle selezioni”. Cancellata dunque la figura del restauratore. Ma come in Sicilia, con tutto quello che c’è da conservare?

Proprio così, perché la Regione con la revoca in autotutela dei concorsi non ancora completati ha provato a tutelarsi dai danni economici provocati dalle cause e dai ricorsi. Ma a ben vedere sembra proprio che il 22 marzo sarà costretta dalla sentenza della Corte d’appello, a pagare un conto molto salato ai 97 restauratori che lo scorso maggio con la pubblicazione della graduatoria definitiva sono stati decretati “vincitori senza posto”. Quattro di loro addirittura già assunti e rimborsati del danno causato. Si parla di quasi otto milioni di euro di risarcimento per non aver potuto prestare la loro opera di restauratori sul nostro patrimonio. Chi sono i funzionari direttivi dell’amministrazione che si assumeranno la responsabilità del danno erariale?

Andrea Patti che per anni è stato il portavoce della categoria preferisce non rilasciare alcuna dichiarazione: è stanco, amareggiato e deluso da una storia infinita che sconfina nella follia istituzionale. Fiumi d’inchiostro sono stati scritti sulla vicenda, petizioni, due disegni di legge mai discussi in aula, scioperi in cui i restauratori hanno lavorato gratuitamente in alcuni musei siciliani e italiani, mesi trascorsi a Palazzo dei Normanni in attesa di risposte. Tutto inutile.

A questa scelta dissennata si aggiunge anche quella che ha recentemente eliminato il laboratorio di restauro del Centro Regionale Progettazione e Restauro. Dal 2002 il “Corso di laurea magistrale in conservazione e restauro dei Beni Culturali” di Palermo (una delle poche sedi italiane a rilasciare l’abilitazione) ha laureato più di cento studenti che non troveranno riscontro nell’organico attualmente azzerato. Non si capisce perché a questo punto non si chiuda del tutto il Centro Restauro. Forse si aspetta che vada in pensione l’unica restauratrice?

Altrettanto lungo e paradossale, in questi anni, il percorso dei 70 dirigenti tecnici archeologi. L’Amministrazione si è mossa per svilire il senso del concorso già all’indomani della pubblicazione del bando, quando l’Ars approvava la legge numero 10/2000, abolendo la qualifica di dirigente tecnico, e declassando i vincitori a semplici funzionari.

“Questo concorso truffa è la metafora della follia della Regione. Ho partecipato al bando che richiedeva laurea e specializzazione. Ma le mie aspettative sono state disattese – dice Lucia Ferruzza, oggi funzionario assessorato regionale Beni culturali – sia in termini economici, sia per quanto riguarda il riconoscimento professionale. Eppure abbiamo svolto con responsabilità il nostro sevizio nei luoghi chiave dei beni culturali e per un’amministrazione che invece di valorizzare la nostra professionalità ci ha vessato e costretto a lunghi e costosi iter giudiziari”.

A questa voce si aggiunge quella di Elena Flavia Castagnino, funzionario direttivo archeologo della Soprintendenza di Siracusa: “La Regione siciliana sta distruggendo un’intera generazione di archeologi professionisti finiti con l’inganno nella trappola amministrativa, colpevoli di aver vinto un concorso pubblico per dirigenti”.

Intanto si assiste a un’emorragia di personale per il pensionamento dei vertici dei musei e delle sezioni archeologiche delle dieci Soprintendenze che non potranno essere rimpiazzati dall’esercito di archeologi professionisti che soffrono per le disparità di trattamento. Non è certo digeribile vedersi diretti da colleghi che magari si trovavano decine di posti indietro nella graduatoria dello stesso concorso e che grazie a un iter processuale più fortunato, occupano oggi posizioni dirigenziali, anche direzione di Poli museali.

Un paradosso per cui, con l’equiparazione dei ruoli tecnici, nei posti apicali che dovrebbero essere riservati agli archeologi finiranno sempre più architetti, antropologi o persino amministrativi. Come a dire che un ortopedico viene chiamato a dirigere un reparto di cardiologia e un amministrativo quello di chirurgia. “Vogliamo il pane, ma anche le rose” diceva Rosa Luxemburg e lo ripetono pure i vincitori beffati.


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