Il centrodestra s'è squagliato |Cronaca di una fine annunciata - Live Sicilia

Il centrodestra s’è squagliato |Cronaca di una fine annunciata

Che la coalizione incollata alla meglio per vincere non potesse reggere era in fondo abbastanza prevedibile.

C’è una domanda che accompagna lo spettacolo dell’Ars impantanata senza maggioranza di queste settimane. Un non detto che nel Palazzo dovrebbe essere chiaro a tutti di fronte allo spettacolo di un Parlamento paralizzato dalle piccole faide interne alla coalizione che ha vinto le elezioni. La domanda, nella sua brutalità, è elementare: ma cos’altro vi aspettavate?

Che il centrodestra che si è presentato alle elezioni del novembre scorso offrisse scarsissime garanzie di tenuta era qualcosa ampiamente prevedibile. Per tutti, inclusi i suoi maggiorenti. Fosse stato il risultato di una partita di calcio, probabilmente la Snai non avrebbe accettato scommesse sul prematuro disfacimento della coalizione che ha sostenuto Nello Musumeci alle elezioni. E quanto è accaduto in questi giorni, con l’Aula impotente e invischiata prima ancora di cominciare, non può stupire nessuno.

La coalizione incollata alla bell’e meglio prima delle Regionali è sembrata da subito improntata allo schema “intanto vinciamo, poi si vedrà”. Forze politiche che avevano duellato all’arma bianca per mesi e mesi si sono messe insieme più per forza che per amore. Ma non è tanto questo il punto di debolezza del progetto. Che è legato piuttosto a un problema più grande, che trascende i limiti del centrodestra nostrano e che riguarda in generale il sistema politico italiano. E cioè lo stato di coma irreversibile dei partiti politici. Che ormai hanno perso quasi tutti gli elementi che li qualificavano come tali in passato. In primis il concetto di appartenenza.

Il “partito” è parte, è divisione, spiegava cent’anni fa don Luigi Sturzo quando argomentava la scelta di non usare un aggettivo confessionale per il nome del suo Partito Popolare. Per essere parte, però, occorre riconoscersi in un gruppo rispetto ad altri. Ecco, già questo primo elemento caratterizzante dei partiti si è perso da quel dì, e oggi resta ancora abbastanza riconoscibile solo in pochissime forze politiche. Il grosso dei partiti appare quasi come una marmellata indistinta che agevola il transito disinvolto da un gruppo all’altro. Non è più neanche trasformismo, è un fenomeno quasi fisiologico.

Nella scorsa legislatura, la commissione Antimafia guidata da Musumeci propose un ddl che in qualche modo sanzionava i cambiacasacca. Quando poi si dovettero confezionare le liste per pescare tutti i voti possibili per battere i grillini, la coalizione di Musumeci di cambiacasacca dell’ultima ora fece incetta con grande (e vincente) spregiudicatezza elettorale. Allora ne contammo dodici last minute, che portarono alla causa del centrodestra la bellezza di 50mila preferenze, voto più voto meno. A cui si aggiunsero le altre migliaia e migliaia assicurate dai candidati “imbarazzanti”, eletti o meno, tra Messina, Catania e Siracusa. Il concetto di fondo alla base di una scelta di quel tipo è quella nuova visione dei partiti come taxi o corriere da cui salire o scendere a seconda della comodità del momento.

Sono più i partiti in cui hanno militato alcuni politici del centrodestra delle squadre in cui ha giocato Ibrahimovic. Su queste basi, costruire stabilità è una pia illusione. Mancano i partiti, ridotti ormai a scatole in cui si muovono in libertà gruppetti o addirittura singoli. Non riescono più a tracciare una linea condivisa, i loro vertici ufficiali non si sa bene chi rappresentino. Una piaga non dissimile a quella che ha infettato il Pd. In un quadretto simile, l’unico mastice in grado di tenere insieme i pezzi resta quello delle poltrone. Ma quelle non possono essere infinite.


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