Trattativa, vittoria netta dei pm | Tra dubbi e nuove indagini - Live Sicilia

Trattativa, vittoria netta dei pm | Tra dubbi e nuove indagini

Quello di ieri non era un verdetto, ma uno spartiacque. Il collegio va oltre i precedenti processi.

PALERMO – La vittoria dei pubblici ministeri è netta, le condanne pesantissime. Non c’è bisogno di aspettare la motivazione della sentenza per affermarlo. Secondo la Corte d’assise di Palermo, la Trattativa fra la mafia e lo Stato ci fu. Mentre le bombe seminavano morte e distruzione in Italia, i carabinieri siglarono un patto con il diavolo.

Il verdetto di ieri supera tutti i ragionevoli dubbi che si sono manifestati nel corso dei cinque anni del processo. Va pure oltre le dichiarazioni del testimone chiave Massimo Ciancimino, condannato per calunnia. In questo caso sì, serviranno le motivazioni del collegio presieduto da Alfredo Montalto per capire come la ricostruzione della Procura abbia convinto i giudici a non tenere conto, ad esempio, di precedenti giudicati.

Quelli dei processi a Mario Mori, innanzitutto, dove sono state escluse in maniera definitiva le responsabilità del generale in alcune vicende catalogate come tasselli della Trattativa: dalla mancata perquisizione del covo di Riina al mancato arresto di Bernardo Provenzano.  C’è poi l’assoluzione in primo grado dell’ex ministro Calogero Mannino che, secondo l’accusa, impaurito di rimanere vittima di un attentato, allertò i carabinieri del Ros e diede vita alla Trattativa. Ed ancora, resta da capire come sia stata rimessa in discussione la scansione temporale cristallizzata nella condanna inflitta a Marcello Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa. In quella sentenza è stato stabilito che Dell’Utri fu “mediatore contrattuale” del patto di protezione tra Silvio Berlusconi imprenditore e Cosa nostra dal ’74 al ’92. Mediazione che cessò negli anni successivi. Ora è diverso. Ora è passata la ricostruzione dei pm Antonino Di Matteo, Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia, Vittorio Teresi secondo cui Dell’Utri sarebbe stato il mediatore della seconda parte della Trattativa.

Nel 1992 i carabinieri del Ros – Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno – cercarono un contatto con l’ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino. Don Vito avrebbe consegnato un ‘papello’ con le richieste di Totò Riina per fermare le bombe. Dopo che Riina finì in cella, il 15 gennaio 1993, “venduto” agli sbirri da Bernardo Provenzano entrò in gioco Dell’Utri. Mentre le bombe spargevano sangue fra Roma, Milano e Firenze, l’ex senatore di Forza Italia avrebbe fatto “da cinghia di trasmissione del messaggio mafioso” rivolto a Silvio Berlusconi, non più semplice imprenditore, ma futuro presidente del Consiglio. Dell’Utri sarebbe riuscito a convincere il premier “ad assumere iniziative legislative che se approvate avrebbero potuto favorire l’organizzazione”. Dunque, Dell’utri avrebbe continuato a rafforzare il potere di Cosa nostra dopo il 1992, oltre il termine fissato dalla sentenza definitiva che lo ha condannato.

Non era solo un verdetto quello di ieri, ma uno spartiacque. Poteva essere la fine di una lunga stagione giudiziaria ed invece potrebbe rappresentare un nuovo inizio. Lo si intuisce dalla parole pronunciate da Antonino Di Matteo nel bunker del carcere Pagliarelli. Il pm, oggi alla Dna, vede nella sentenza di condanna “un invito a continuare a indagare, un ulteriore stimolo per accertare responsabilità a livello giudiziario e politico, per fare ulteriore chiarezza sulla stagione delle stragi”. Si deve andare avanti, insomma. La seconda fase della Trattativa, quella successiva alla morte di Giovanni Falcone e prima che ammazzassero Paolo Borsellino, aggiunge Di Matteo, “rafforza in Totò Riina l’idea che la strage pagasse”. Da Caltanissetta a Firenze, fino a Roma. Le Procure distrettuali a nazionale antimafia avranno da lavorare, ripartendo da quel nome, Silvio Berlusconi, scritto nel dispositivo della sentenza (Dell’Utri è stato assolto per le “condotte commesse nei confronti dei governi precedenti a quello presieduto da Silvio Berlusconi per non avere commesso il fatto”). Un nome e una stagione ormai da decenni sotto osservazione delle magistratura. Che sia questo nome a colmare il vuoto? Chi sono i politici che diedero mandato ai carabinieri di trattare con la mafia? Chi furono i politici che subirono la minaccia. L’unico politico finora processato, e per altro assolto, è Calogero Mannino. Nel processo ora giunto a sentenza non ci sono politici condannati che erano in carica nella stagione delle stragi. La Trattativa, al momento, se davvero ci fu resta monca. E qui la motivazione della sentenza diventa imprescindibile.

Nel frattempo i legali degli imputati faranno ricorso in appello. Sarà battaglia, a giudicare dalle parole dell’avvocato di Mori, Basilio Milio: “C’è un barlume di contentezza in me oggi, in un grande sconforto e sbigottimento perché so che la verità è dalla nostra parte. Oggi è un giorno di speranza: possiamo sperare che finalmente, dopo 5 anni, in appello vi sarà un giudizio. Perché questo è stato un pregiudizio caratterizzato dall’adesione alle istanze della Procura e quasi mai della difesa. Una sentenza dura che non sta né in cielo né in terra perché questi fatti sono stati già smentiti da quattro sentenze definitive”.

Si vedrà, nel frattempo, esultano i pm con gesti misurati in aula, durante la lettura del dispositivo, e molto più calorosi all’esterno del bunker dove il tifo delle agende rosse e di Scorta civica diventa da stadio. Ci sono i cartelli e i cori: “Fuori la ma mafia dallo Stato”.


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