Stato-mafia: Fiandaca: | "Processo non andava fatto" - Live Sicilia

Stato-mafia: Fiandaca: | “Processo non andava fatto”

Giovanni Fiandaca

Il giurista ed esperto di Diritto penale resta su posizioni critiche.

L'ANALISI
di
2 min di lettura

PALERMO – Qualche anno fa, in piena bufera mediatica, quando quello sulla trattativa Stato-mafia veniva definito il processo del secolo, usò parole dure, bollando l’atto di accusa della Procura di Palermo come una “boiata pazzesca”.

Oggi Giovanni Fiandaca, tra i massimi studiosi italiani di diritto penale, non usa la scure, ma ribadisce dubbi e perplessità manifestati da sempre sul lavoro dei pm palermitani dicendo che il processo non si doveva fare. Il commento arriva dopo il verdetto che, invece, ha accolto praticamente in pieno l’impianto dei magistrati condannando a pene pesantissime quelli che sarebbero stati i protagonisti del dialogo tra pezzi delle istituzioni e Cosa nostra negli anni delle stragi: dall’ex generale del Ros Mario Mori, all’ex senatore di Fi Marcello Dell’Utri condannati a 12 anni di carcere.

Le critiche di Fiandaca sono tutte in diritto. “Fermo restando che aspettiamo di leggere le motivazioni della sentenza – dice – rimangono invariate le mie perplessità sul reato ipotizzato: la minaccia a Corpo politico dello Stato. Il Governo italiano non è un organo politico ma costituzionale e la tutela degli organi costituzionali è assicurata da un’altra norma del codice penale: l’articolo 289 che, peraltro, è stato modificato nel 2006.

La nuova formulazione non parla di minaccia ma di ‘atti violenti’, ed è questo il motivo per cui la Procura alla fine ha ripiegato sull’articolo 338. Resta il nodo di fondo: la pressione sul governo da parte della mafia e dei concorrenti, ipotizzata dall’accusa, ricade solo nella previsione dell’articolo 289. La scelta del reato dunque è sbagliata”.

Questioni in diritto complesse che – e questa è un’altra criticità individuata da Fiandaca – troppo spinose per una Corte d’Assise composta da giudici popolari. “Io ritengo che siano questioni di competenza di un giudice solo professionale”, dice. La Corte d’Assise come competente a celebrare il processo venne individuata dal gup che dispose i rinvii a giudizio sulla base della ricostruzione della procura che vedeva nell’omicidio dell’erurodeputato Salvo Lima, reato di competenza della corte, uno degli snodi da cui avrebbe preso il via la cosiddetta trattativa.

Che quella della Procura sia stata comunque una vittoria a 360 gradi il professore non lo crede. “Ciancimino è stato assolto dal concorso in associazione mafiosa – dice – e Mancino dalla falsa testimonianza: a mio avviso in questo modo vengono meno due punti chiave della ricostruzione. Sono curioso di capire il ragionamento seguito dai giudici”. Di una cosa Fiandaca è sicuro. Nonostante il verdetto. Quello sulla trattativa è un processo che non si doveva avviare. “La mia – spiega – è un’opinione condivisa anche da altri giuristi, ma negli ultimi anni sempre meno noi professori e i magistrati ci siamo capiti, nel senso che la magistratura in buona fede ricorre a interpretazioni estensive delle norme incriminatrici anche sorvolando su questioni di stretto diritto pur di arrivare ai risultati repressivi che ritiene necessari”. “E un problema generale – conclude – che prescinde dal processo trattativa. C’è la tendenza, diventata crescente, di alcuni magistrati a percepire il proprio ruolo come quello di difensori contro il crimine a dispetto del garantismo individuale”.


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI