La convivenza coatta | nel centro storico (e pulp) - Live Sicilia

La convivenza coatta | nel centro storico (e pulp)

Niente più feste del sugo, del gelato, del toast, del basilico o delle panelle. Ma cosa cambia?

Rubina di cuori
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5 min di lettura

Invocare più decoro urbano sarà, à la Tamar Pitch, ethos borghese patinato e anche un po’ stronzo, o condizione minima per impedire che un contesto pubblico diventi una latrina? Intanto, che malinconia, deprimente e psichica, vedere i nostri itinerari turistico-monumentali rattrappiti lungo ritagli di aiuole sintetiche e strade obese di tutto: sedioline, sgabellini, barettini, tavolini, caffettini e gelatini, botti di rovere- poggia tutto, e turisti pigiati gli uni agli altri per un misero bitter+nuts (e che imperdonabile errore aver creduto che ‘ravvivare’ i centri delle nostre città significasse trasformarli in sale biliardo en plein air, magari a base di arredo scandinavo contemporaneo con tristezze rigorose e monocrome minimaliste).

Centri storici d’Italia non tanto luoghi d’arte ‘da scoprire’, come nelle pubblicità progresso, ma invece scenografie demenziali e palcoscenici consumabili come sacchi di patatine, a uso zombies, giovani con lo sturbo, guru stralunati, drogati interessati, intellettuali in crisi, turismo di massa, canizie incattivite, artisti-contro, accomunati dall’unico desiderio del tutto gratis, dai musei ai concerti e pure i teatri e le mostre. Centri sempre più contesi, tra rivalutazioni, investimenti, valorizzazioni, lottizzazioni, riscoperte, riconfigurazioni, a beneficio di sindaci, associazioni no (or yes) profit, cooperative, lobby e a maleficio di residenti e storici dell’arte o restauratori spaventati per le sorti dei beni culturali.

Ma il centro storico di Palermo (difficile immaginare qualcosa di più mediorientale, non avendo mai visto il Medio Oriente) ha una particolarità, vantando la convivenza di scatafasci post bellici e appartamenti da milioni di euro, portoni nobiliari accanto a penisole di monnezza del Dugento, baracchette cadenti e lamiere derelitte nelle piazze, ristorantino classy ed edifici sventrati, abusivi che vendono reti ortopediche, occupando illegalmente il suolo pubblico a guisa di vetrina per la merce (“adorabili contraddizioni!”, esulta l’idealista borbonico). Quindi sarà ragionevole aspettarsi di incontrare nello stesso condominio accademici della Crusca e pendagli da forca. Ma non li si troverà più insieme a mangiare qualche panino con la ‘meusa’ fumante e ripugnante presso lo stesso carretto, visto che “bye bye street food festival!” in centro storico.

Niente più feste del sugo, del gelato, del toast, del basilico o delle panelle. D’ora in poi nelle zone pedonali solo “eventi culturali e sociali”. Quindi si vieteranno i trips gastronomici tra via Maqueda e Corso Vittorio, per «migliorare il contesto urbano e per la riqualificazione di alcune vie e piazze». L’ordinanza comunale è un argine alla brama recente di associazioni, società e ditte di accaparrarsi come contesto dei loro smerci via Maqueda e corso Vittorio Emanuele. La pacchia di autorizzazioni per manifestazioni temporanee è esaurita: stop trecce d’aglio, brodetti e salsicce e pecorini a penzoloni lungo gazebi e tendopoli, a occultare vetrine di commercianti risentiti.

Però cosa cambia? Niente festival, ma se le strade sono ugualmente ripiene di venditori di alimenti, la differenza non si noterà. Ma certuni si domanderanno se questo tentativo di civilizzazione di un tessuto in preda all’oblio del commercio, sarà il tipico episodio benefico isolato, oppure il passo verso un ripensamento globale. Al momento una condizione civica positiva pare solo uno scherzo, vista l’amministrazione spreguidicata che ha trasfigurato il centro storico in Folies-Bergère. E non è da guastavivande pensare al peggio, se a farlo sono quegli apoti che conoscono bene il mood antropologico locale. A causa di una cupio dissolvi frenetica, che resiste a ogni Illuminismo d’importazione o di riporto, a Sud, dove non si usa “dar un nome alla cose” tra scaramanzia e omertà, la realtà fatta di sfasci e sotterfugi anche molto criminosi non obbedisce a schemi e ipotesi teoriche, né a quelle pie illusioni che suonano tanto più fini se enunciate come whishful thinking o agonizing reappraisal.

Oh tu, Centro Storico di Palermo, molto ‘pulp’ e poco smart: ti nuocerà maggiormente il melting pot più educando o una gentrificazione accurata? Si resta colpiti da tanta eterogeneità d’intenti e fondamenti, cioè dalla convivenza coatta di antropologi e neomelodici, commercianti in regola e ambulanti illegali, impudenza cockney e pro-loco, pusher e professoresse di storia dell’arte, baronesse e lumpenploretariat, papponi e PhD, lobbisti e baby mamme sempre affacciate ai balconi e in pigiama già alle tre del pomeriggio, in tutti quei contesti un tempo indesiderabili (Capo, Vucciria, Ballarò) ma negli anni più recenti ‘in ripresa’ grazie a vaste operazioni di ristrutturazioni e recuperi, magari parziali o solo scenografici ma abbastanza sexy da convincere istruiti e benestanti a lasciare la periferia per un tuffetto bohéme nell’antichità.

Ma forse è proprio quella formula di melting pot che piaceva tanto ipotizzare ieri, perché suonava elegante e veniva incontro ai desideri delle anime più belle, a essere astrattamente contestata oggi da professori in feluca e pedagoghi sessantottini (abitanti in villa o residence o in quartieri raffinati) a causa delle violenze e abusi degli ultimi anni – tra scippi, ‘movide’ sregolate, locali notturni, karaoke illegali, risse, decibel importuni – e da residenti dabbene che rivendicano la propria distanza, nei costumi e nei linguaggi, dai loro compagni di quartiere non aristocratici. Ma potevano pensarci prima? Qui è tardi per l’armonia tra ceti e censi, anche se la guerra civile non arriverà mai, nel rispetto della passività mediterranea progettata per subire, con la ribellione che spunta solo in caso di soprusi verso il cespite o il reddito.

Desolata meridionalità isolana! Ma in una città poverissima e che può vivere solo sul turismo, oltre i cilindri di milza alti mezzo metro che sfrigolano qui e là e i frutti di mare, come si potrà impedire che il centro storico diventi, più che altrove in Italia, un girarrosto neurotico per disoccupati e teppisti? (Scommettiamo che avrà da ridire SignoraMia, rinfacciandoci i tempi horror di una Palermo pre-movida buia tutta scippi e finestrini sfondati, in cui non c’era niente e nessuno in centro la sera e si aveva timore di uscire anche solo per condurre a spasso popò e pipì del cane).

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