"Il grande amore | di mamma e papà" - Live Sicilia

“Il grande amore | di mamma e papà”

Agnese e Paolo Borsellino (archivio)

Quando si parla di Agnese, si parla anche di suo marito, Paolo.

Non possono stare lontani il dottore Paolo Borsellino e sua moglie, la signora Agnese. Come per un rimpiattino dell’eternità. E quando si parla di uno, come per un’eco, affiora l’altra.

Qualche giorno fa, il cinque maggio, si è celebrato con una discrezione intrisa di gratitudine il quinto anniversario della morte di Agnese Piraino Leto, vedova Borsellino. Qualcuno l’ha ricordata sui social. Qualcuno ha riaperto in silenzio il cassetto delle lacrime. In contemporanea, è saltato fuori un particolare sul magistrato ucciso con la scorta in via D’Amelio.

Durante la ‘notte bianca della legalità’, il procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, ha raccontato: “Paolo Borsellino fu talmente consapevole di dovere morire, che proprio in questo Palazzo di giustizia volle compiere un gesto simbolico: chiamò un amico sacerdote per confessarsi e prendere la comunione”. Nelle stesse ore, la memoria della dipartita della moglie mischiata a una cronaca commossa degli ultimi istanti del marito. Non possono stare lontani, nemmeno sulle labbra degli altri.

Ma com’era questo amore incenerito in via D’Amelio, nella sua porzione visibile? “Un’esperienza totalizzante – spiega Manfredi Borsellino, figlio di Paolo e di Agnese -. Non potevano stare lontani”.

Ed è dolcemente strano pensare, con rispetto e affetto, che la morte di una madre sia stata una benedizione di tenerezze e ricordi, pure nella sua consistenza luttuosa, per dei ragazzi che avevano già perso un genitore nella modalità più atroce. Rubata, sì, ma nella quasi normalità degli addii. “Mamma – aggiunge Manfredi – è diventata nonna e credo che i suoi nipoti abbiano avuto il potere di allungarle un po’ la vita”. Una figura silenziosa, incrollabile.

Di lei, lo stesso figlio scriveva nel libro ‘Era d’estate’, immaginando un colloquio col padre: “E vorrei anche dirgli che la mamma dopo essere stata il suo principale sostegno è stata in questi lunghi anni la nostra forza, senza di lei tutto sarebbe stato più difficile e molto probabilmente nessuno di noi tre ce l’avrebbe fatta”. Noi tre: Manfredi, Fiammetta, Lucia.

Una storia d’amore che rivive pure nella memoria di don Cesare Rattoballi, sacerdote e amico di Paolo Borsellino. Fu lui a confessarlo tra le colonne severe del Palazzo di giustizia. “Paolo – rievoca don Cesare – nutriva uno speciale sentimento di protezione nei confronti della sua sposa. Cercava sempre di evitarle problemi, non voleva metterla in agitazione. Soprattutto negli ultimi tempi, quando sapeva che non sarebbe stato risparmiato. Avevano entrambi un tratto umano e accogliente. Ti invitavano a cena senza formalismi, donando il candore della loro amicizia. Sì, rammento quel giorno, come potrei dimenticarlo? A margine della confessione, Paolo mi confidò: ‘Sono pronto, mi preparo’. Avevamo in programma di vederci il lunedì successivo. Domenica lo assassinarono”.

Quando Agnese morì fu organizzata una camera ardente familiare nella casa di via Cilea. La signora appariva addormentata in pace, nonostante la violenza del male che aveva subito e coraggiosamente combattuto. Suo marito, il dottore Paolo Borsellino, la guardava, da un ritratto appeso alla parete. La sigaretta tra le dita e, dal mozzicone, un fumo azzurrino dipinto. La vegliava ancora.

 

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