Il passante ferroviario di Palermo | Corsa contro il tempo per l'opera - Live Sicilia

Il passante ferroviario di Palermo | Corsa contro il tempo per l’opera

Come nasce l'infrastruttura che dovrebbe rivoluzionare la mobilità nel capoluogo.

La genesi del mega appalto
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PALERMO – Un’opera pubblica da centinaia di milioni di euro, costata anni di lavori e disagi per residenti e automobilisti, capace di rivoluzionare la mobilità della quinta città d’Italia e che, adesso, sembra quasi appesa a un filo. Il passante ferroviario di Palermo è, a conti fatti, un cantiere da record: il progetto prevede infatti di raddoppiare il binario che collega la periferia Sud con Punta Raisi. In mezzo 22 passaggi a livelli in meno, stazioni nuove di zecca e un sistema che attraversa il capoluogo siciliano su rotaia, senza incontrare traffico o subire ritardi, con un doppio binario che garantisce corse più frequenti.

Ma quello che sulla carta è sempre apparso come un fantastico progetto, nella realtà di tutti i giorni è diventato, spesso, fonte di polemiche e preoccupazioni per i palermitani. Martedì 15 maggio, infatti, i sindacati hanno promosso uno sciopero per protestare contro il licenziamento di 261 operai: una prospettiva terribile, visto che significherebbe lo stop per un’opera giunta ormai all’85% e a un passo dalla sua conclusione.

A tenere in mano le redini dell’appalto sono le Ferrovie dello Stato, che in questo caso operano sia da committente che da stazione appaltante e che stanno tentando di completare i cantieri nel più breve tempo possibile, provando a superare ostacoli e contrattempi che negli anni si sono susseguiti, ultimo lo spettro dei licenziamenti. Il Comune, in questa pratica, fa solo da spettatore. A realizzare l’opera è invece il consorzio iberico-piemontese Sis, un colosso delle costruzioni che ha lavorato al canale di Panama, che sta costruendo la Pedemontana e che a Palermo ha già realizzato il tram. Un gigante, insomma, che nel capoluogo non ha esitato per esempio a usare una talpa meccanica (ribattezata “Marisol”) capace di scavare 15 metri al giorno come se nulla fosse.

Il progetto, di cui si iniziò a parlare nel 2004, prevede in totale tre linee: la A che collega Roccella con Notarbartolo, la B che arriva fino a La Malfa e la C che attraversa la provincia, arrivando a Carini. I lavori sono stati consegnati nel 2008 (con grande ritardo) e sarebbero dovuti terminare nel 2012, ma nel tempo gli intoppi sono stati parecchi: dai ritardi iniziali nella consegna dei lavori all’interdittiva poi revocata alla Sis, dal fiume sotterraneo di vicolo Bernava alla variante sulla tratta B che ha richiesto altri quattro anni e un aumento dei costi, fino ad arrivare al duello tra Rfi e azienda su 100 milioni di euro per i quali si aspetta la decisione del Tribunale.

Insomma, non certo una passeggiata per un’opera pubblica così grande e invasiva che però, nonostante tutto, è già in parte in funzione. Quando si parla di ritardi dei cantieri, infatti, bisogna considerare che la linea, in alcuni punti, è già attiva: le stazioni Lolli, Guadagna e Roccella sono in funzione da tempo, Maredolce è praticamente pronta, Vespri è stata del tutto rimodernata e 22 passaggi a livello sono già stati eliminati. Ecco perché dalle parti di Rfi tuonano quando sentono parlare di “incompiuta”. Le aree chiuse al traffico ormai sono poche: via Imera a breve potrebbe tornare libera, altre strade sono nuove di zecca (come via Lodato che collega Vespri con corso Tukory o via Spadolini, tra via La Malfa e via Lanza di Scalea). La tratta A è quasi del tutto ultimata, tranne per i 60 metri di vicolo Bernava: Rfi ha già completato le acquisizioni delle cinque palazzine che adesso verranno abbattute, senza bisogno di ricorrere agli espropri, ed entro fine anno si dovrebbe procedere alle demolizioni. La C è in dirittura d’arrivo, mentre il ritardo più significativo si registra sulla B.

Qui i lavori sono stati consegnati nel 2012, anziché nel 2008, per la variante voluta a gran voce dal Comune e dai residenti con una modifica sostanziale al progetto che ha previsto un interramento profondo della galleria. In parole povere, i binari non corrono a 7 o 8 metri sotto il manto stradale ma a 25, cioè al di sotto dell’attuale galleria. Un cambiamento non da poco che ha richiesto di modificare le tecniche adoperate e la tempistica, aggravando i costi di 90 milioni di euro circa, e per il quale è stato necessario un accordo tra tutti i soggetti coinvolti.

La talpa meccanica ad oggi sta scavando la galleria che da Notarbartolo porta a De Gasperi ed è a metà dell’opera, lavorando su due turni e recuperando il terreno perduto a causa di un guasto; l’obiettivo è completare entro il 2018 il raddoppio Oreto-Orleans ed, entro il 2019, da Notarbartolo a Francia, mentre qualche ritardo potrebbe registrarsi su Bernava. Una marcia a tappe forzate nella quale è previsto anche il ripristino del collegamento con l’aeroporto entro l’estate, anche se per un primo momento a binario unico nel tratto Notarbartolo-Francia.

Ma allora, dove sta il problema? La causa di tante preoccupazioni è il contenzioso ormai in atto da tempo fra Rfi e Sis. Le Ferrovie dello Stato, in questi anni, hanno avanzato delle riserve sui lavori ma in un appalto di queste dimensioni le penali possono essere complicate da applicare, visto l’elevato numero di variabili che possono influire. La questione più spinosa riguarda però i 100 milioni extra che, secondo la Sis, i lavori hanno richiesto ma che non erano stati conteggiati nel budget iniziale, anche a causa dell’aumento dei prezzi intervenuto negli anni. Il consorzio ha provato a più riprese a battere cassa con le Ferrovie ma senza successo, tanto che si è dovuti ricorrere a un accertamento tecnico preventivo che è ormai alle battute finali e che, secondo voci di corridoio, potrebbe non accogliere del tutto le richieste dell’azienda. Un braccio di ferro in cui Comune e Regione provano (senza troppo successo) a intervenire, sollecitando in un modo o nell’altro il completamento dei cantieri per evitare lo spettro dell’incompiuta.

Le minacce di licenziamenti di massa non sono di certo una novità, ma Rfi finora ha sempre scelto la via del dialogo chiedendo alla Sis di completare i lavori e dicendosi disponibile a discutere del resto a cantieri ultimati. Una “moral suasion” con un obiettivo ben preciso: un’eventuale rescissione del contratto richiederebbe una stima dei lavori e per la loro ripresa ci vorrebbero almeno altri due anni, per non parlare di quelli necessari a concluderli. Meglio evitare rotture e provare a terminare i lavori con la Sis nel 2019 o nel 2020, salvando i posti di lavoro e completando una delle opere più importanti nella storia della città. Una corsa a ostacoli, anzi contro il tempo visto che i licenziamenti li allungherebbero inesorabilmente.


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