Tutti riuniti nel nome di Falcone | Ma dov'è finita l'antimafia? - Live Sicilia

Tutti riuniti nel nome di Falcone | Ma dov’è finita l’antimafia?

Sbarcano mille ragazzi, oggi, a Palermo. Ma non troveranno quello che cercano.

Quell'estate del '92
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Stamattina, a Palermo, sbarcheranno mille ragazzi condotti quaggiù dalla Nave della legalità per celebrare la sacrosanta memoria dei martiri del 23 maggio: Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Vito Schifani. Scenderanno dalla scaletta, dopo giorni di studio e riflessioni, per abbracciare l’antimafia e le sue memorie, con qualche difficoltà. A ventisei anni dalle stragi, infatti, la domanda è ineludibile e indifferibile: dov’è finita l’antimafia?

Un quesito sgarbato e troppo forte, nonostante i recenti dispacci di cronaca, dal caso Montante alla vicenda Saguto, che hanno visto nella polvere gli eroi antimafiosissimi di ieri? Una conclusione, sia pure in forma di dubbio, eccessivamente dura nel valutare un’esperienza complessiva?

Ognuno interroghi se stesso e si chieda cosa gli suggerisce, nell’istante in cui la pronuncia con riverenza a fior di labbra, la formula liturgica, la parola ‘antimafia’ nella sua essenzialità. A pochi, ormai, rammenterà i cari volti degli eroi che erano carne e sangue di uomini coraggiosi, non il marmo delle statue in cui sono stati imprigionati. I più vedranno scorrere, su uno schermo immaginario, suggestioni di carriere, posizioni, discorsi vuoti di retorica: tutto tranne la sostanza. Non è già l’ipotesi di una sconfitta?

L’antimafia che abbiamo amato era una bandiera, non un marchio. Era il disinteresse, non la rendita. Era la condivisione di un cammino capace di esaltare le differenze, non il presidio corrucciato di più pulpiti autoreferenziali, con il diritto di scomunica per le idee non omologate. Dov’è adesso?

L’abbiamo amata l’antimafia vergine e pasoliniana delle belle bandiere. Coloro che furono giovani in quegli anni terribili – un ampio ‘noi’ che abbraccia più generazioni – scelsero bene. C’era sangue dappertutto. Sangue per le strade. Sangue su telegiornali e giornali. Sangue, perfino, alla fermata dell’autobus sui vestiti degli studenti all’uscita da scuola. E venne il tremendo ’92, quando l’insopportabile dolore procurato raggiunse il massimo livello della sfida criminale. Che altro si sarebbe potuto osare, se non combattere? Così ebbe inizio una lotta vigorosa e umile, di lenzuola appese, cortei, riflessioni. Chi, per timidezza o ritrosia, non condivideva la forma pubblica di una rivoluzione, maturava, comunque, dentro di sé, le ragioni di una svolta irrevocabile.

A poco a poco, con lo scolorire dell’impegno, mutarono contesti e protagonisti alla ribalta. Il vessillo dell’antimafia acquisì la consistenza di un marchio, come l’effigie di Che Guevara stampata sulle magliettine dell’utopia. Un marketing, un’occasione, un titolo nobiliare da sfruttare all’occorrenza. Volevi tentare la carriera politica? Meglio con l’adesivo antimafioso addosso. Desideravi scrivere un libro di successo? Sarebbe stato sufficiente apporre il sostantivo ‘legalità’ nel frontespizio. Cercavi un posto al sole a vario titolo? Una patente di antimafietà e le porte più acerrime e serrate si sarebbero schiuse.

Il caso Montante, la vicenda Saguto – i cui profili penali devono ancora essere soppesati, a filo di codice, nelle famose sedi opportune, col necessario preambolo della presunzione d’innocenza – richiamano, nella parte che è affiorata, l’estrema patologia di un sistema che era già in cortocircuito. L’antimafia socialmente accettata, perbene e legittima, ormai separata dalla sua gratuità originaria, narrava da anni – a prescindere da eventuali notizie di reato – il suo cedimento etico. Troppi mercanti, accanto agli alfieri dell’ideale, hanno occupato il tempio, via via che la memoria si trasformava in opportunità di spazi e prebende.

Come cambiare l’inerzia, allora? Claudio Fava, presidente della Commissione Antimafia dell’Ars, ha espresso un concetto degno di nota, in una intervista a LiveSicilia: “Credo che la risposta alla crisi della credibilità dell’antimafia debba stare nella qualità del lavoro che fai. Nei comportamenti individuali e collettivi. Nel considerare l’antimafia del fare come un impegno, dopo una lunga stagione dell’antimafia del dire e dell’apparire”. Un lavacro necessario, il ritorno alla sostanza, al profilo basso, alle cose, alle persone. E non c’è molto tempo.

Gli anniversari delle stragi, in questo ventiseiesimo anno di lutto, giungono a uno snodo cruciale di rassegnazione, nel massimo punto di rottura e di consapevolezza dell’annaspare di una storia: sarebbe miope negarlo. Ma non tutte le storie sono state raccontate, né tutte le speranze dimenticate. Quei ragazzi che oggi cammineranno a Palermo, con i loro volti puliti, possono riflettere l’amara celebrazione di un sogno in dissolvenza o la metafora di una bellezza che saprebbe ricominciare dal punto del suo smarrimento, coltivando rigore e volontà. Il bivio dei destini disponibili, in fondo, è tutto qui.

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