Aria di tensione tra i Cappello |Balsamo e i "carusi" di Ramacca - Live Sicilia

Aria di tensione tra i Cappello |Balsamo e i “carusi” di Ramacca

Gli affari della cosca nel calatino.

L'inchiesta Penelope
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CATANIA – Non ci sono solo i Santapaola a Ramacca. Nel calatino ha messo radici anche il clan Cappello. Una forza criminale che è stata annientata dopo il blitz Penelope. L’inchiesta ha fotografato l’intero organigramma della cosca: dai vertici ai soldati, da Catania ai paesi. E a giostrare le file del comando per i paesi sarebbe stato Pippo Balsamo (ai domiciliari per motivi di salute, ndr), imputato nel processo abbreviato. La pm Tiziana Laudani nel corso della lunga requisitoria davanti alla Gup Anna Maria Cristaldi ha sviscerato decine e decine di intercettazioni che definiscono i ruoli dei componenti della squadra di Ramacca dei Cappello, nella quale spicca la figura (tra gli altri) di Carmelo Gianninò. L’imputato avrebbe un particolare legame con il boss Pippo Balsamo.

Ad un certo punto a Ramacca si respira aria di tensione tra i Cappello. Gianninò entra in contrasto con Emanuele Nigro, che – come evidenzia la pm – è il responsabile sul territorio di Ramacca. Alla fine del 2012 Pippo Balsamo discute con un Michele (non identificato, ndr). Si parla di “Melo di Ramacca”. Per la magistrata è chiaro che i due stanno facendo riferimento a Carmelo Gianninò. “Te lo sei messo di nuovo con te?” domanda Michele. Pippo Balsamo risponde: “Si l’ho sistemato”. Parole che fanno capire come Carmelo Gianninò sia agli ordini del boss Balsamo, che gli spiega “come deve comportarsi, cosa deve fare per un determinato affare o per una determinata questione”. Ed è anche messaggero del Balsamo, pronto a “rompere le corna” a chi “non si adegua alle sue direttive”. Gianninò è anche una sorta di intermediario: molti si rivolgono a lui per poter incontrare Balsamo. Come ad esempio Turi “u cantanti” di Paternò, identificato dagli inquirenti per Salvatore Tilleni Scaglioni (uomo del clan Alleruzzo- Assinnata di Paternò e in particolare della squadra del boss, ammazzato nel 2014, Turi Leanza), che si rivolge a Melo di Ramacca per organizzare un incontro con il boss dei Cappello. Parlavamo delle frizioni tra Nigro e Gianninò che si sarebbero acuite tra il 2012 e 2013. Nigro si lamenta con Balsamo per la presenza di Gianninò a Ramacca. L’imputato non avrebbe rispettato “i ruoli assegnati”. Nigro provoca Balsamo e gli chiede di sollevarlo dall’incarico di responsabile. Ma il boss non cede alla provocazione. Non si fanno cambi in corsa: all’esterno avrebbero percepito una mancanza di ordine all’interno dell’organizzazione. E sarebbe stato un passo falso. Delle lamentele di Nigro, Balsamo ne parla apertamente con Gianninò. “Una testa di chiacchiere”, dice nel corso di un dialogo captato. A quel punto però il boss rassicura Gianninò che avrebbe risolto “la situazione”.

In questo tripudio di conversazioni non si parla solo di problemi di convivenza tra soldati, ma anche di affari. E ancora una volta l’affare più gettonato è quello dello spaccio di droga. Non basta il linguaggio in codice a depistare gli investigatori. Un giorno prima della serata di San Silvestro del 2012 Gianninò, Claudio Rindone e Giuseppe Ravaneschi fissano una serie di incontri per la “consegna di rose e carciofi”. Ma del “violetto” di Ramacca, Ravaneschi (considerato dalla pm il braccio destro del boss Balsamo) ne parla già un mese prima. La magistrata cita un passaggio di una conversazione per chiarire l’incongruenza: “Per cinquanta fasci di carciofi occorrevano sì e no tremila e cinquecento euro”. Poi l’imputato avrebbe fatto riferimento alla suddivisione del denaro. Ma Rindone non sarebbe stato d’accordo sui termini della spartizione dei proventi e avrebbe insistito per incontrarlo. Ma Ravaneschi avverte “Hai voglia di scendere, qua anziché arrestarne due ne arrestano tre”. Parole che fanno ben capire che la discussione intavolata non sarebbe stata certamente incentrata sul commercio di carciofi. Che certamente non prevede l’arresto. Ma per sgombrare ogni dubbio la Squadra Mobile lavora a un riscontro oggettivo. Il 25 novembre 2012 si parla di un incontro tra Claudio Rindone e Carmelo Gianninò per l’acquisto di carciofi. Appena i due escono dalla casa di Ravaneschi sono fermati dalla polizia. Ma dei carciofi nemmeno l’ombra. In auto i poliziotti trovano un bilancino di precisione. Solo dopo, grazie alle dichiarazioni del pentito Giuseppe Raffa, gli inquirenti scoprono che i due, dopo essersi accorti della presenza degli investigatori, si sarebbero liberati della droga.


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