Brunetto, Di Mauro, Cintorino |Il triumvirato della mafia - Live Sicilia

Brunetto, Di Mauro, Cintorino |Il triumvirato della mafia

Ecco chi sono i boss della fascia jonica etnea.

INCHIESTA
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GIARRE – C’è un aneddoto che forse più di altri dà l’idea dello spessore criminale e del carisma di uno degli ultimi boss dell’area ionica, Paolo Brunetto. Si racconta che all’uscita dal carcere, dopo i periodi di detenzione patiti, ad omaggiarlo con la tradizionale battuta delle inferriate fossero non solo gli affiliati al proprio clan, ma anche quelli di altre cosche. Un riconoscimento riservato a pochi. Ed oggi, a quasi cinque anni dal decesso, il suo nome resta indissolubilmente legato al clan Brunetto, articolazione della famiglia Santapaola Ercolano, operante lungo la fascia ionica, principalmente tra Fiumefreddo di Sicilia, Mascali, Giarre e Riposto, ma con importanti ramificazioni anche nella zona pedemontana, tra Randazzo e Castiglione di Sicilia, e nella Valle dell’Alcantara, tra i comuni di Malvagna e Francavilla di Sicilia. Il Mensile S in edicola dedica uno speciale alla mappa della mafia in questo lembo di terra catanese.

Tra gli anni ’80 e ’90 unico referente dei Santapaola per l’intera area ionica è Sebastiano Sciuto, detto Nuccio Coscia, a capo del gruppo di Acireale. Ben presto però Paolo Brunetto riesce a conquistare piena autonomia, diventando interlocutore diretto dei capimafia catanesi. Traffico di droga ed armi, estorsioni e usura i principali affari illeciti gestiti dal boss, a cui erano riconducibili, stando alle numerose inchieste della Dda etnea, due aziende di Mascali: l’Ambra Transit, società di autotrasporti, e la Cosma Costruzioni, attiva nel settore edile. Entrambe sarebbero state utilizzate dal clan per ripulire il denaro sporco. I fiumi di droga, cocaina, eroina e marijuana,  venivano immessi lungo tutta la costa ionica, compresa Taormina, punto di riferimento per l’estate della movida catanese.

Il ruolo al vertice del clan resta ben saldo nelle mani di Paolo Brunetto fino alla sua morte, avvenuta per una malattia nel giugno del 2013.

Nonostante l’assenza di vincoli di sangue, è Pietro Olivieri, più noto come Carmeluccio, a diventare, secondo gli inquirenti, il reggente del clan dopo la prematura scomparsa del boss. Un’eredità che è il frutto del forte legame che unisce il capomafia al responsabile del gruppo giarrese. Già negli ultimi mesi della malattia è Carmeluccio a dirimere i dissidi interni.

Altri due gruppi criminali si contendono l’influenza sul territorio ionico etneo. Quello che fa riferimento a Paolo Di Mauro, detto ‘u Prufissuri, ritenuto dagli inquirenti il referente dell’area ionico etnea per i Laudani e quello storicamente capeggiato da Antonino Cintorino, alla guida dell’omonimo clan, vicino alla famiglia dei Cappello. Una convivenza a tre che, nonostante le numerose tensioni, non sfocia mai in scontri sanguinari. Continua a leggere sul Mensile S. 


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