Lodato nel mirino della mafia |La rivelazione del killer Avola - Live Sicilia

Lodato nel mirino della mafia |La rivelazione del killer Avola

Il collaboratore di giustizia è stato sentito nel processo a carico dell'editore Mario Ciancio.

clan Santapaola
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CATANIA – Andrea Lodato, firma de La Sicilia, sarebbe stato agli inizi degli anni Novanta nel mirino della mafia. A raccontarlo è stato oggi nel corso dell’udienza del processo a carico dell’editore Mario Ciancio il collaboratore di giustizia Maurizio Avola, killer della famiglia Santapaola-Ercolano. Il servizio giornalistico che avrebbe infastidito i vertici di Cosa nostra catanese sarebbe stato quello sui quattro ragazzini strangolati e uccisi per aver “scippato” la madre di Nitto Santapaola. All’epoca Lodato lavorava per l’emittente Antenna Sicilia. L’ordine sarebbe partito da Aldo Ercolano, nipote di Benedetto, e da Marcello D’Agata, capo del gruppo di Ognina. Avola, rispondendo alle domande del pm Antonino Fanara, ha spiegato che poi “il progetto di attentato è fallito, ma non ha mai saputo il perché”. Il pentito – nel corso del controesame dell’avvocato Carmelo Peluso, difensore di Ciancio – ha precisato che lui aveva avuto l’ordine di “guardare” il giornalista. E più volte lo avrebbe seguito alla Scogliera. Inoltre il sicario dei Santapaola, entrato nel programma di collaborazione nel 1994, ha raccontato davanti ai giudici della Prima sezione penale del Tribunale di Catania (presidente Passalacqua), che Francesco Mangion (elemento di vertice della famiglia) avrebbe avuto come obiettivo quello di “distruggere la tv Telecolor”.

Questa volta a dare fastidio all’uomo d’onore sarebbero stati gli articoli sul processo per l’omicidio del sindaco di Castelvetrano Vito Lipari. Processo dove Mangion era imputato. Anche questa volta il progetto è sfumato. “Dopo un incontro tra Mangion e il direttore di Telecolor si sarebbe trovato un accordo”, ha raccontato Avola in un verbale del 2009. Rivelazioni confermate dopo la lettura dello stralcio da parte del magistrato Fanara. Maurizio Avola inoltre ha parlato di altri “attacchi” progettati dalla cosca e poi mai eseguiti nei confronti del quotidiano “La Sicilia”. Ad urtare la sensibilità dei vertici della famiglia sarebbero stati gli articoli di un giornalista nei confronti di Pippo Ercolano. Un comportamento che non sarebbe stato tollerato anche perché l’editore Mario Ciancio sarebbe stato considerato “un amico” della famiglia (ed oggi per la prima volta Avola parla addirittura di una protezione da parte dei Corleonesi). “Poi tramite l’intervento di Galea, che era il nostro rappresentante a Palermo, la situazione si sarebbe sistemata”, ha raccontato il teste.  Di questo episodio ne ha parlato anche un altro pentito sentito oggi in udienza. Natale Di Raimondo, uomo d’onore ed ex capo di Monte Po, ha spiegato che Pippo Ercolano in carcere a Bicocca gli avrebbe confessato che Mario Ciancio avrebbe  “spostato un giornalista che scriveva contro la famiglia”. Insomma l’editore sarebbe stato “un amico” della famiglia Santapaola, pronto ad elargire “favori”. Pippo Ercolano, inoltre, avrebbe raccontato a Natale Di Raimondo di un furto che avrebbe subito Ciancio. E che grazie all’intercessione della “famiglia” i beni rubati sarebbero stati restituiti all’editore.

E di questo furto in villa ne aveva già parlato Giuseppe Catalano, pentito ed ex referente nel quartiere San Giorgio della famiglia Laudani, nella scorsa udienza.Il colpo messo a segno nel 1993 nella lussuosa residenza di Mario Ciancio è stato al centro dell’esame del collaboratore di giustizia Giuseppe Maria Di Giacomo, ex capomafia dei Laudani e spietato killer (è lui il mandante dell’omicidio dell’avvocato Serafino Famà, ndr). Il pentito oggi ha fornito una versione, in molte parti, divergente rispetto alle dichiarazioni rilasciate nell’estate del 2009. Se 9 anni fa ha raccontato di aver saputo del furto dallo stesso affiliato Catalano, oggi ha chiarito invece che sarebbe stato il boss dei Santapaola Marcello D’Agata ad avvertirlo che “l’amico Mario Ciancio” aveva subito un furto e che “la refurtiva doveva essere restituita”. L’esame del collaboratore di giustizia è stata una sequela di contestazioni sia da parte del pm Antonino Fanara che dei difensori di Mario Ciancio, gli avvocati Francesco Coletti e Carmelo Peluso. Versioni discordanti anche sulla presenza o meno di Catalano ad un vertice in una villa di San Giovanni La Punta dove Aldo Ercolano viveva da latitante. Nel 2009 Pippo Di Giacomo spiega che gli incontri con Aldo Ercolano erano riservati solo al reggente della famiglia e quindi solo a lui. Oggi in udienza invece ha spiegato che Catalano, forse, ha partecipato alle prime fasi dell’incontro e poi ci sarebbe stata la riunione riservata ai vertici “per pianificare strategie criminali importanti”. L’ex killer ha spiegato inoltre che gli oggetti rubati furono restituiti e che a Catalano fu consegnata la ricompensa di 50 milioni di lire, così come era stato promesso su un articolo pubblicato su La Sicilia. “Cinque milioni sono stati però trattenuti dalla famiglia Santapaola, perché gli affiliati del gruppo del Villaggio Sant’Agata si erano presi l’incarico di restituire la refurtiva all’editore”, racconta in udienza il pentito. Ma puntuale anche questa volta arriva la contestazione del difensore dell’imputato accusato di concorso esterno all’associazione mafiosa. Nel 2009 Di Giacomo aveva detto che i cinque milioni sarebbero stati trattenuti dalla famiglia Laudani.

È stato ascoltato anche il ‘colletto bianco’ Francesco Campanella, ex sindaco di Villabate legato a Cosa nostra palermitana. L’ex politico, rispondendo alle domande del pm, ha spiegato di non essere a conoscenza dei particolari sulla realizzazione di centri commerciali nel Catanese e di avere solo organizzato un incontro tra l’imprenditore Marussig e l’allora vice sindaco di Catania Raffaele Lombardo. Inoltre sono stati acquisiti i verbali del collaboratore di giustizia Alfio Luciano Giuffrida, ex pezzo da novanta dei Laudani. Protagonista della prossima udienza il pentito Di Carlo.

 


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