I padrini di Cosa nostra |Santapaola: la linea di comando - Live Sicilia

I padrini di Cosa nostra |Santapaola: la linea di comando

Boss storici e nuove leve.

Dal Mensile S
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CATANIA – Appena pronunci il suo nome in via Santa Maria delle Salette, nel cuore di San Cristoforo a Catania, la gente si ferma. E ti guarda con una certa ritrosia. Nitto Santapaola da queste parti è un fantasma onnipresente. È il boss dei boss. Il padrino di Catania. È stato capace di far quasi dimenticare Giuseppe Calderone, il criminale che ha portato Catania sul tavolo palermitano di Cosa nostra. Pippo “cannarozzo d’argento” (chiamato così per la voce, resa metallica dopo un intervento alla gola) fu ammazzato in un agguato nel lontano 1978. E da quel momento l’ascesa criminale di Benedetto Santapaola, affiancato dai cugini Ercolano, D’Emanuele e Ferrera (detti i Cavadduzzi), è stata sempre crescente. Anche dopo la sua cattura nel 1993 da parte della Squadra Mobile nelle campagne di Mazzarrone, nel calatino.

È il sangue, quello della famiglia, che traccerà il percorso in questo viaggio di nomi e anche di soprannomi. Un lungo speciale pubblicato sul Mensile S attualmente in edicola. Il viaggio parte da via Di Giacomo, a pochi passi da piazza San Cristoforo, dove Nitto Santapaola ha vissuto con i genitori e poi con Carmela Minniti, suo moglie. Quella donna uccisa, barbaramente, dal pentito killer Giuseppe Ferone, detto “cammisedda”, l’ex soldato di Calderone, finito tra i gregari di Alfio Ferlito prima e degli Sciuto-Tigna dopo.

Seguendo il legame di sangue si finisce sui nomi di Salvatore e Antonino Santapaola, i due fratelli di Nitto che lo hanno affiancato negli affari criminali. Anche se non sempre il modo di operare dei due è piaciuto al boss in giacca e cravatta. Perché Nitto amava circondarsi della gente che contava, imprenditori, cavalieri del lavoro, politici. Geni del crimine, ma anche personalità complesse Turi e Nino.

E se alcune roccaforti sono sparite, i centri nevralgici mafiosi dei Santapaola sono rimasti quasi inalterati con il passare dei decenni. Il suono dei nomi dei vecchi boss è ancora ridondante. E guai a pronunciarli “invano”.

C’è massimo silenzio. Anche se le armi rinvenute in queste ultime settimane in varie parti della città e dell’hinterland etneo sono l’asticella per capire che i boss rimasti a piede libero sono pronti a tutto. Quartiere per quartiere, paese dopo paese, dal mare all’Etna si cerca di riassettare le fila dopo la pesante scure che si è abbattuta su Cosa nostra appena sei mesi fa. Nel 2016 l’eredità di Nitto sarebbe stata affidata a Francesco Santapaola, figlio di Turi Coluccio, il cugino del padrino di Catania. Un legame familiare che ci porta alla sorella di Salvatore ‘Coluccio’ Santapaola, Grazia. La donna diversi anni fa, in un’intercettazione, ricordando la sua parentela con Nitto Santapaola si vantava di rappresentare “il sangue blu” di Cosa nostra catanese. Grazia poi è la moglie di Salvatore Amato, meglio conosciuto come Turi, rais del gruppo santapaoliano Ottantapalmi (così è denominata la zona di via Della Concordia a San Cristoforo, a Catania). Una linea di successione che non si è persa perché il figlio Alfio Amato ha fatto parlare di sé in questi anni a livello giudiziario ed investigativo. Ma anche il genero di Turi Amato, Francesco Scuderi, detto ‘Niculitto’, avrebbe creato un piccolo regno “di spaccio” tra le viuzze di San Cristoforo. Si parla di un altro genero di Turi Amato in alcune recentissime intercettazioni e sms captati. Giuseppe Pastura, professionista del traffico di droga per conto dei Santapaola, avrebbe come nome in codice – riferiscono i pentiti – “Pic”. E questo soprannome si trova in decine e decine di messaggi finiti tra le carte dei magistrati. Prova, per gli inquirenti, che Giuseppe Pastura ha ancora un ruolo non da poco negli assetti della cosca.

San Cristoforo, Picanello, San Giovanni Galermo, Villaggio Sant’Agata, Stazione, San Giorgio e Lineri.  Sul mensile S la mappa di Cosa nostra catanese. 


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