"Negò di avere pagato il pizzo"| Imprenditore condannato a tre anni - Live Sicilia

“Negò di avere pagato il pizzo”| Imprenditore condannato a tre anni

Secondo l'accusa, ha favorito il boss di San Lorenzo, Sandro Lo Piccolo.

PALERMO – Negò di avere pagato il pizzo e rese falsa testimonianza. Reati che, secondo l’accusa, avrebbero favorito i boss Sandro Lo Piccolo e Massimo Troia. Saverio Purpura è stato condannato a tre anni dalla quinta sezione del Tribunale di Palermo.

La sua sarebbe la storia di un imprenditore vessato dalla mafia, ma che ha preferito negare l’evidenza e beccarsi una condanna piuttosto che accusare i suoi aguzzini. I pubblici ministeri Amelia Luise e Annamaria Picozzi hanno così ricostruito la sua storia: nel 2007 Purpura aveva acquistato un distributore di benzina in via Ugo La Malfa; per dare il via libera all’affare Sandro Lo Piccolo avrebbe preteso venti mila euro. Del pagamento della somma di denaro c’era traccia in una lettera che Lo Piccolo jr, figlio del capomafia di San Lorenzo, Salvatore, aveva inviato a Nunzio Serio, il suo luogotenente, arrestato due settimane fa dopo che la Cassazione ha reso definitiva la sua condanna.

Purpura in quell’anno era titolare di un altro distributore di benzina, in via dell’Olimpo, per il quale i boss gli chiesero sette mila euro a Pasqua e altrettanti a Natale. Quando fu convocato dagli investigatori negò anche questo secondo episodio. Da qui l’accusa di favoreggiamento e falsa testimonianza.

Nel 2016 il pentito Silvio Guerrera raccontò un episodio che riguardava Purpura. Qualcuno si era permesso di scavalcare il capo e, seppure facesse parte della stessa famiglia mafiosa, si beccò una punizione. Guerrera, ex reggente del clan di Tommaso Natale, ordinò di picchiare il suo braccio destro, Roberto Sardisco.

Calvaruso (Giuseppe Calvaruso, arrestato assieme a Guerrera nel blitz Apocalisse dell’estate 2014, ndr) – mise a verbale il pentito – era tenuto in considerazione da Cosa Nostra per danneggiamenti e minacce per la sua corporatura più che robusta. Una volta ha picchiato Roberto Sardisco”. Ecco perché: “… si era permesso di richiedere a Fabio Chianchiano (uomo dello Zen oggi in cella con l’accusa di avere ucciso Franco Mazzè per le strade del popolare quartiere palermitano, ndr) chi fosse il responsabile di una rapina perpetrata in danno di Saverio Purpura, alla pompa di benzina in via Regione Siciliana”. “Almeno fammelo sapere, non ti dico che non lo puoi fare, ma fammelo sapere”, si rammaricava Guerrera.

Chianchiano, però, che conosceva le gerarchie, andò a chiedere chiarimenti a Guerrera: “Mi chiedeva se io ne sapessi qualcosa ed io rimasi meravigliato della circostanza perché non ne sapevo niente. Poi ho saputo che Purpura, subito dopo la rapina si era rivolto a Francesco Caporrimo il quale aveva mandato Sardisco, Enea Erasmo e tale Francesco a chiedere notizie a Chianchiano allo Zen”.

Nonostante Francesco Caporrimo vantasse una parentela illustre in Cosa nostra (il figlio Giulio è stato il reggente del mandamento di San Lorenzo, ndr), “io mi lamentai del fatto che non fossi stato avvisato”. Guererra andò su tutte le furie – “mi sentii male per la rabbia”- e quel punto “Calvaruso, vedendomi così alterato, mi propose di andare a picchiare Sardisco, cosa che poi fece col mio assenso”.

In che modo?, “Gli ha dato legnate direttamente sotto casa sua, lo ha chiamato, davanti a sua moglie. Addirittura gli volevano levare pure la macchina”.

Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI