Naxos: i carabinieri |recuperano ancora greca - Live Sicilia

Naxos: i carabinieri |recuperano ancora greca

La prima colonia ellenica in Sicilia restituisce tracce preziose del proprio passato
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il ritrovamento
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NAXOS – Ha almeno un paio di millenni l’ancora recuperata dal Nucleo Sommozzatori dei carabinieri di Messina nelle acque di Giardini Naxos; un altro analogo reperto, databile all’epoca bizantina, è stato documentato sul posto. Anche a ridotte profondità, questo specchio d’acqua non ha esaurito di restituire ai subacquei locali storie e tracce capaci di ricondurre al passato. “Ad ogni mareggiata emerge qualcosa di nuovo”, ci racconta Alessandro Lentini, titolare del centro immersioni Dive Sicily, che ha scoperto gli ultimi reperti insieme a due turisti americani. “Sono più di trent’anni che segnaliamo reperti. Iniziammo nel 1984 con vari residuati bellici: in una grotta si trovava addirittura un deposito di esplosivi e cartucce risalenti alla Seconda Guerra Mondiale, del quale si sono occupati gli artificieri della Marina”.

Ma le tracce magnogreche sono le più suggestive: un vero ponte verso le città degli antichi coloni ellenici: “Al largo dell’Isola Bella abbiamo trovato piatti e ossa animali bruciacchiate; cocci se ne trovano sparsi ovunque”. A metà mattinata i carabinieri sommozzatori iniziano le operazioni: scendono in acqua due militari oltre allo scopritore stesso e al Claudio Di Franco della Soprintendenza del Mare. Obiettivo: registrare le caratteristiche dei reperti, fotografarli, valutarne lo stato di conservazione e perciò la possibilità di farli riemergere.

Tra i compiti del sottufficiale a bordo, quello di scrutare le bolle dei subacquei attendendo di scorgere il pedagno di segnalazione: quando il piccolo galleggiante emerge, vuol dire che si è sul punto preciso. In superficie attendiamo, mentre l’imbarcazione gira intorno ai cerchi di bolle d’aria e quasi s’immagina il lavoro delle figure immerse. Il cielo è velato, la luce conferisce al paesaggio contorni netti e poche ombre; prevale un silenzio appena interrotto da qualche rumore sulla costa. Poi la cupola gialla del pallone da sollevamento fora il blu: il primo ceppo d’ancora, tratto da dieci metri di fondo, è tratto a bordo del gommone e poco dopo deposto sull’imbarcazione di Dive Sicily.

Il piombo di venti secoli macchia facilmente le mani; l’ancora ha uno dei due bracci quasi del tutto aperto, il che lascia supporre un urto o una fortissima trazione che lo ha quasi staccato. L’altro, curvo, è pieno di concrezioni. Metà del reperto era sepolto sotto la sabbia: questo permette di osservare alcune tracce delle parti in legno. Sono filamenti bruni, intrisi d’acqua, estremamente fragili “Un pezzo raro per le sue piccole dimensioni, solitamente se ne trovano di più grandi”, spiega il titolare del diving center. “Mancano tuttavia dei riscontri per saperne di più: se è un’ancora che si è persa, oppure è parte di un relitto”, osserva il Di Franco.

Un ulteriore sopralluogo rivela invece impossibile recuperare la seconda ancora, più recente, situata a 12m di profondità nei pressi della baia di Mazzarò: “E’ troppo fragile: c’è il rischio che in superficie si deteriori rapidamente”, chiarisce Di Franco. Motivazioni simili fanno sì che attualmente sia preferita la conservazione in situ di alcuni reperti. Il ceppo d’ancora magnogreco è stato affidato al museo del Parco Archeologico Naxos-Taormina, per essere adeguatamente trattato ed esposto; ma le ricerche non sono destinate ad esaurirsi. Ed è già attesa, per la metà di Settembre, la nuova rassegna archeo-subacquea: un modo per attirare lo sguardo su questa realtà, che sui fondali siciliani è tanto evidente da essere molto spesso ignorata.

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