"Non restituì i beni"; "Falso" | Un commercialista e il processo - Live Sicilia

“Non restituì i beni”; “Falso” | Un commercialista e il processo

Il Tribunale di Palermo

La vicenda riguarda l'amministrazione giudiziaria di due negozi.

PALERMO – “Rifiuto di atti d’ufficio” è il reato che la Procura della Repubblica contesta a Maurizio Lipani. Si tratta di un custode giudiziario che si sarebbe rifiutato di consegnare, così si legge nel capo di imputazione, i beni e le scritture contabili di due aziende dissequestrate dal Tribunale e dalla Corte di appello. Per lui il procuratore aggiunto Sergio Demontis e il sostituto Enrico Bologna hanno chiesto il rinvio a giudizio. L’udienza preliminare per stabilire se merita o meno di finire sotto processo è fissata a settembre.

La vicenda è davvero singolare. Nel 2007 viene disposto prima il sequestro penale e poi quello in sede di Misure di prevenzione del negozio “Mondo Wiind” di viale Lazio, uno dei più noti della città. L’ipotesi accusatoria, che non ha retto, si basava su alcune intercettazioni e sulle dichiarazioni di alcuni pentiti secondo cui, il proprietario, Alessandro Autovino, era un prestanome di Giuseppe Gelsomino, personaggio considerato in contatto con il boss di Torretta, Antonino Di Maggio. Di Maggio che avrebbe investito denaro sporco nell’acquisto di telefonini poi rivenduti nel negozio. A Gelsomino era stata imposta la sorveglianza speciale e confiscato il negozio “Il giardino della frutta di Gelsomino Gilbert e Pisani Francesca” di via Aquileia.

Nel 2012 la sezione Misure di prevenzione respinge la richiesta di confisca. “A fronte dei generici elementi risultanti dalle intercettazioni, non sono stati addotti ulteriori indizi a supporto della costruzione accusatoria – si leggeva nella motivazione -, secondo cui la ditta in questione sarebbe nella disponibilità di Giuseppe Gelsomino, sicché mancando il benché minimo riferimento (tecnico contabile, testimoniale o documentale), da cui dedurre sia l’ingerenza del proposto nella amministrazione della attività, sia l’eventuale immissione di capitali di natura illecita nella ditta in questione, non può che rigettarsi la proposta di confisca”.

La restituzione, però, resta sulla carta. Autovino avrebbe cercato invano di rientrare in possesso dei beni. Fino a quando non decide di denunciare l’amministratore e di costituirsi parte civile con l’assistenza dell’avvocato Antonio Turrisi. Nel caso del negozio di frutta e verdura Lipani avrebbe continuato a gestire l’azienda fino al 2017, nonostante nella gestione fosse ormai subentrata al suo posto l’Agenzia nazionale per i beni confiscati alla mafia. Da qui l’inchiesta e la richiesta di rinvio a giudizio.

Il commercialista Lipani si dice tranquillo perché “ho ottemperato alle prescrizioni e rispettato i miei doveri consegnando tutta la documentazione. Si tratta infatti di documenti visto che l’attività era stata chiusa molto tempo prima. Dimostrerò la mia correttezza nel corso dell’udienza”.

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