Morandi, il crollo e la psicosi | I ponti sotto osservazione in Sicilia - Live Sicilia

Morandi, il crollo e la psicosi | I ponti sotto osservazione in Sicilia

Il viadotto Morandi ad Agrigento

Dopo la tragedia di Genova crescono interrogativi e polemiche. La situazione nella nostra Regione.

L'APPROFONDIMENTO
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PALERMO – I cultori dell’arte legavano sino a ieri il nome di Morandi al pittore tra i più originali del Novecento italiano, celebre per le sue nature morte con vasi e bottiglie. Dopo il crollo del viadotto di Genova un altro Morandi è balzato agli onori della cronaca: l’ingegnere Riccardo, autore del ponte crollato il 14 agosto nel capoluogo ligure. Anche questo Morandi è un maestro, se è vero com’è vero che l’architettura è una forma d’arte.

Il progettista romano, a differenza dell’omonimo pittore che lavorava esclusivamente tra le mura del suo atelier bolognese, ha operato nel Belpaese e all’estero ed è ancora studiato sui testi di architettura contemporanea, dove viene definito come “il profeta del ferro e del cemento”. Al pari di Pier Luigi Nervi, capace di spingere sino al limite delle sue prestazioni quello che è il materiale costitutivo per eccellenza del secolo scorso: il calcestruzzo armato.

L’ardito viadotto genovese con i suoi piloni alti 90 metri era una struttura avveniristica quando fu inaugurato nel 1967. La qualità espressiva dei capolavori ingegneristici di Riccardo Morandi, suo il primo brevetto sul calcestruzzo armato precompresso, ha lasciato il segno non solo in Venezuela, nella laguna di Maracaibo – con uno dei dieci viadotti più lunghi del mondo – e in Sudafrica sullo Storms River, ma anche in Sicilia: a Ragusa con il ponte sul fiume Irminio, a Licata con il ponte sul fiume Salso e ad Agrigento con il viadotto che porta il suo nome.

Le opere siciliane sono state oggetto di denunce lanciate dalle associazioni ambientaliste e di attenzioni da parte delle autorità competenti che hanno portato alla loro temporanea chiusura. Due interventi manutentivi, di cui l’ultimo nel 2014, costato 5 milioni di euro, finanziato tra gli interventi urgenti previsti dal “decreto del fare”, hanno consentito la riapertura del ponte sull’Irminio, che con i suoi piloni di 168 metri risultava, alla data della sua edificazione, il più alto d’Europa.

Per il ponte sul Salso proprio in questi giorni, dopo un lungo monitoraggio, è stata sciolta la “prognosi riservata”. Mentre ad Agrigento un lungo dibattito, simile a quello di Genova, ha visto contrapposte le posizioni di chi chiedeva di abbatterlo e di chi voleva mantenerlo. Al momento l’Anas starebbe per ristrutturare il viadotto akragantino affrontando un costo di circa 15 milioni di euro. “Alla luce della rinnovata sensibilità di questi giorni – dichiara il sindaco di Agrigento Lillo Firetto – spero si possa riconsiderare la scelta dell’oneroso intervento di recupero del viadotto a favore di una viabilità alternativa a raso. Il fascino tecnologico di quest’opera che aveva colpito nei primi anni è stato oscurato dall’impatto paesaggistico sul Parco archeologico della Valle dei Templi, tanto da aver fatto parlare di ‘abusivismo di Stato’ a causa dei piloni che insistono sulla necropoli Pezzino. Ho convocato a tal fine un incontro tra i diversi attori in campo per il prossimo 7 settembre”. Torna così di attualità l’ipotesi della demolizione del viadotto Morandi. In Italia è esplosa la psicosi crolli: è allarme per trecento ponti, sarebbe cioè in pericolo il 60 % dei viadotti in cemento armato con oltre 50 anni di vita.

“Colpevole è l’assenza di manutenzione ordinaria nel Paese come in Sicilia – dice l’assessore regionale alle Infrastrutture Marco Falcone – nell’Isola sono una trentina i ponti a rischio di cui circa quindici in emergenza. Le risorse per intervenire prontamente non mancano, abbiamo intercettato due miliardi di euro per le grandi strutture; sono già in atto sei cantieri e molti altri in progettazione che porteranno anche sviluppo economico”.

“Abbiamo creato una task force – continua Falcone – che vede impegnati Anas, Cas, ex Provincie e città metropolitane per monitorare a tappeto ponti, viadotti e gallerie ed evitare di agire in modo improvvisato. Il presidente Musumeci vuole affiancargli una commissione scientifica composta da docenti degli Atenei siciliani con competenze specifiche. La filosofia è cambiata con una logica di pianificazione che prevede una manutenzione radicale, e ove sarà il caso, la sostituzione delle strutture difficilmente recuperabili, riducendo costi e tempi di esecuzione”.

Il timore che oggi si manifesta non riguarda quindi solo i ponti firmati Morandi al quale si devono anche numerosi studi e progetti per il ponte di Messina, ma la materia di cui sono fatte tutte le infrastrutture del secolo scorso, quel calcestruzzo dalla durata limitata, utilizzato peraltro in tutta l’edilizia dagli anni Sessanta, quando l’Italia puntò sui trasporti su gomma e contestualmente sull’abbandono dei centri storici a favore delle periferie urbane. Il miracolo economico aveva visto nel cemento armato una vera e propria panacea, simbolo del progresso che rispondeva al sogno di “una casa per tutti”, reso possibile dai suoi costi contenuti.

Chi a Genova solo poco tempo fa sosteneva che il viadotto Morandi sarebbe potuto “stare su altri cento anni”, ignorava che il ciclo di vita del calcestruzzo armato è stimato in cinquant’anni o poco più. “Una verità assiomatica”, conferma il professore Paolo La Greca, direttore del Dipartimento di ingegneria civile e architettura dell’Università degli studi di Catania e presidente del Centro Nazionale di Studi Urbanistici del Consiglio Nazionale Ingegneri. “Questo materiale era fortemente innovativo agli inizi del secolo scorso, quando ci si illudeva che il calcestruzzo cementizio avrebbe protetto all’infinito la resistente anima d’acciaio – continua La Greca – bisogna prendere atto che così non è. Neppure sottoponendolo al cosiddetto retrofitting, intervento che ne prolunga la vita. Anche oggi non è facile immaginare strutture in calcestruzzo armato progettate per durare 100 anni”.

Ad aggravare la situazione del patrimonio edilizio si aggiunge il peso dei mezzi di trasporto su gomma, notevolmente cresciuto negli anni, che stressa i ponti in maniera non preventivata, mentre l’espansione delle periferie e la cementificazione delle coste è contrassegnata dalla versione palazzinara del cemento armato a buon mercato.

“Siamo di fronte a un’emergenza nazionale che ha dato chiare avvisaglie –conclude il docente catanese – già tra il 1999 e il 2000, quando si sono registrati in tutt’Italia una serie di crolli di palazzi in calcestruzzo armato risalenti agli anni Sessanta, tra cui quello di via Pagano a Palermo. Mentre nei paesi più attenti si procede con una sistematica sostituzione integrale degli edifici vetusti, nella nostra fragile nazione le politiche sulle periferie urbane sono insufficienti, come pure quelle per l’adeguamento delle infrastrutture. Occorrerebbe una Abbiamo recentemente assistito alla dismissione delle agenzie governative “Italia sicura” e “Casa Italia, mentre sarebbe necessaria una seria politica amministrativa di continuità”.

Non è che l’impennata di crolli ai quali stiamo assistendo negli ultimi anni oltre che da errori costruttivi, cause naturali, cemento impoverito, non sia invece il destino prevedibile di un’edilizia che ha già raggiunto la sua data di scadenza?


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