"Padre, figlio e spirito santo"| L'integrazione razziale della droga - Live Sicilia

“Padre, figlio e spirito santo”| L’integrazione razziale della droga

Spaccio di droga a Ballarò

A Ballarò palermitani e nigeriani si dividono la piazza dello spaccio. Comanda sempre la mafia.

PALERMO – “Nel nome del padre, del figlio e dello spirito santo”. Il pusher si faceva il segno della croce dopo avere ceduto la prima dose di droga del suo turno di spaccio a due ragazzi in sella a uno scooter.

Tra i venditori di sfincione e frittola dei mercati popolari il gesto mantiene una sua sacralità. Diventa miserabile quando a ricordare la crocifissione di Cristo è qualcuno che vende crack e cocaina. A Ballarò succedeva anche questo. Da ieri rais della droga e spacciatori hanno subito uno stop forzato. Sono stati arrestati dai carabinieri.

Nel giorno del blitz, alle cinque di pomeriggio, via Nunzio Naso è zeppa di gente, ragazzi e non, che sono già al terzo giro di birra. Ancora poche ore e diventerà, come ogni sera, una bolgia. A buon mercato non si vende solo la birra, ma pure la droga. I prezzi sono stracciati: 5 euro per una bustina di marijuana o una stecca di fumo (quasi un grammo di sballo), 15 euro un quarto di grammo di crack e 20 euro per la stessa dose ma di cocaina. Chissà se qualcuno ha già preso il posto degli spacciatori finiti in carcere. È lecito ipotizzarlo, difficile scoprirlo.

Ci sono volute le telecamere dei carabinieri per registrare le immagini delle rapide cessioni di stupefacente per strada o sotto i tavolini di pub e taverne. Sono stati bravi a piazzarle i militari della compagnia di piazza Verdi. Nei frame sono rimasti impressi i volti di tanti clienti, dal professionista allo studente. Niente eroina, però. Quella la vendono i nivuri, i neri, a 12 euro a dose.

Via Nunzio Naso è controllata dai palermitani. La suddivisione è rigida. Da via Porta di Castro fino a piazza Ballarò gli spacciatori, salvo qualche rara eccezione, hanno la pelle bianca. Oltre il mercato e nelle stradine che sbucano in via Maqueda e corso Tukory la gestione passa ai nigeriani. I palermitani hanno poca voglia di avere a che fare con i tossici strafatti di eroina che piantano grane. Si sono divisi i clienti e di fatto il territorio. È l’integrazione del malaffare. Di certo ormai, ed è storia giudiziaria, a Ballarò si è radicata un’ala dell’Ascia Nera, Black Axe, nata negli anni ’70 in Nigeria. All’inizio era una sorta di confraternita religiosa, poi divenne una banda criminale con regole ferree, riti di affiliazione ed esplosioni di violenza. I nigeriani hanno colonizzato intere strade. Si riuniscono nelle taverne, dove è possibile appartarsi con delle prostitute, i cui clienti sono spesso palermitani.  

Le famiglie mafiose forniscono l’eroina ai nigeriani e prendono pure una percentuale sulle vendite. Ogni tanto qualche nigeriano alza la testa e viene stroncato con le botte. Almeno finora comandano i palermitani in una zona che per anni è stata la roccaforte dei Mulè, rimasti a lungo in carcere e ora liberi. Anche loro hanno rischiato di subire le conseguenze di una guerra fra famiglie per il controllo della zona. La sera del 16 ottobre 2014, quindici minuti dopo le venti, giunse una telefonata al 113. La chiamata partiva da una cabina di via Armando Diaz, a Brancaccio. “… domani mattina devono ammazzare Salvo Mulè del Ballarò…”, diceva una voce maschile. Salvatore Mulè, forte della parentela con il fratello Massimo e con il padre Franco (ai domiciliari), aveva creduto di gestire in autonomia lo spaccio.

Da qualche tempo è tornata la calma. Gli affari vanno a gonfie vele. Lo spaccio va gestito a livello aziendale. Innanzitutto c’è chi comanda: l’ultima inchiesta della Procura attribuisce i ruoli di vertice a Silvio Mazzucco e Giovanni Rao. Poi, nella scala gerarchica ci sono coloro che portano la droga agli spacciatori e raccolgono gli incassi, i galoppini che prendono la dosi nei magazzini e infine i pusher. Tutti godono della connivenza di una grossa fetta del del quartiere. “Fairo, fairo”, si sentiva urlare all’arrivo delle forze dell’ordine. Era una parola convenzionale, il segnale che dovevano fare sparire la droga.


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