Insularità, sì o no | È questione di garanzie - Live Sicilia

Insularità, sì o no | È questione di garanzie

Non basta mettere il tema al centro del dibattito politico.

DIRITTI E DOVERI
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Che l’insularità costituisca un freno allo sviluppo economico e comporti un deficit di servizi ed opportunità non sembrano esserci dubbi.

Una recente risoluzione del Parlamento europeo riconosce la “condizione di svantaggio strutturale permanente” delle isole ed evidenzia la necessità di politiche pubbliche in grado di attrarre investimenti, creare nuovi posti di lavoro, ridurre i costi del trasporto di persone e merci, sostenere l’innovazione e la competitività del sistema produttivo locale, promuovere lo sviluppo territoriale attraverso investimenti nelle infrastrutture, riduzione della burocrazia, aiuti finanziari e regimi speciali di bassa tassazione.

Ciò vale a maggior ragione per le isole situate alle frontiere esterne dell’UE, particolarmente vulnerabili rispetto ai problemi concernenti l’evoluzione demografica, il cambiamento climatico, l’approvvigionamento energetico e l’esposizione ai crescenti flussi migratori.

Adesso anche l’ordinamento nazionale riconosce che l’insularità incide sui costi e sui tempi di realizzazione delle infrastrutture, ostacola la crescita economica ed aggrava il divario di sviluppo con il resto del Paese, e la normativa statale garantisce il finanziamento delle prestazioni pubbliche essenziali nei territori più svantaggiati e l’attribuzione di risorse adeguate per rimuovere il deficit infrastrutturale e gli squilibri economici e sociali.

Questi riconoscimenti dovrebbero preludere all’abbattimento dei costi delle tratte marittime, ferroviarie e aeree, alla realizzazione di infrastrutture essenziali, all’attribuzione di risorse per il finanziamento di servizi e prestazioni pubbliche, all’istituzione di zone franche, ad agevolazioni per la programmazione comunitaria 2020-2027, quando la Sicilia non sarà più nel novero delle Regioni ad Obiettivo 1 e all’adozione di misure di fiscalità agevolata, come quelle adottate in alcune aree dell’Unione europea per compensare gli svantaggi naturali e demografici e sostenere lo sviluppo economico e il tenore di vita degli abitanti.

Ad oggi, però, il gap siciliano resta praticamente inalterato, la spesa pubblica in Sicilia (soprattutto per investimenti) non è aumentata, ed anzi negli ultimi anni si è ridotta di circa il 56 per cento, più che nel resto del Paese, mentre alla Regione sono state richieste sempre più risorse per contribuire al risanamento della finanza pubblica nazionale.

Gli accordi tra Stato e Regione del 2014, 2016 e 2017 non fanno cenno ad interventi per compensare il gap regionale, ma si limitano ad attribuire alla Sicilia una quota dei tributi pagati dai cittadini siciliani riscossi fuori dal territorio regionale: risorse fondamentali per il funzionamento della Regione, ma che non rimuovono le cause del divario con il resto del Paese e le difficoltà dovute all’insularità, al deficit infrastrutturale e ai livelli di reddito inferiori alla media nazionale.

Per colmare questa lacuna sono stati recentemente presentati all’Ars un disegno di legge voto e una proposta di referendum consultivo, che prevedono di modificare lo Statuto inserendovi il riconoscimento da parte dello Stato degli svantaggi derivanti dalla condizione di insularità siciliana e la garanzia di adeguate misure di compensazione degli svantaggi che ne derivano. Ma la modifica dello Statuto richiede un percorso lungo, complesso ed articolato, che passa attraverso l’approvazione di una legge regionale e di una legge costituzionale da parte del Parlamento, e non può quindi prescindere da un’ampia maggioranza e da un largo e trasversale consenso politico.

Eppure esistono già norme che consentono l’adozione tempestiva di misure adeguate a realizzare le esigenze regionali. Infatti la normativa sul federalismo fiscale prevede la realizzazione di interventi riguardanti le strutture sanitarie, assistenziali, scolastiche, la rete stradale, autostradale e ferroviaria, fognaria, idrica, elettrica, di trasporto e distribuzione del gas, le strutture portuali ed aeroportuali, i servizi di trasporto pubblico locale, e impone allo Stato di assicurare il finanziamento delle prestazioni pubbliche essenziali anche nelle regioni più povere attraverso risorse prelevate presso quelle più ricche. Ed alle regioni a statuto speciale viene riconosciuto il diritto di ricevere risorse adeguate a compensare gli svantaggi strutturali permanenti, i costi dell’insularità e i livelli di reddito pro capite inferiori alla media nazionale.

A causa delle note difficoltà della finanza pubblica, però, queste norme non sono state attuate e la Corte costituzionale non ne ha imposto l’applicazione, demandandola di fatto a specifici accordi con lo Stato, come quelli conclusi dalle altre regioni speciali che, in cambio dell’impegno a razionalizzare la spesa e a svolgere ulteriori funzioni, sono riuscite ad ottenere un consistente aumento delle entrate, una notevole riduzione del contributo alla finanza pubblica, l’allentamento dei vincoli alla spesa e, nel caso della Sardegna, una norma della legge nazionale di bilancio 2018 che riconosce che “la condizione di insularità ne penalizza lo sviluppo economico e sociale” e prevede “la definizione dei sistemi di aiuto applicati per le regioni ultra periferiche di altri Stati membri dell’Unione Europea”.

Per ottenere gli interventi e le misure necessarie a compensare la condizione di svantaggio della Sicilia sarà quindi necessario fornire precise garanzie riguardo la razionalizzazione della spesa, la puntualità nella esecuzione delle infrastrutture, la realizzazione di riforme in grado di rendere più efficiente il sistema istituzionale. E forse anche accettare di esercitare alcune funzioni attualmente svolte dalla burocrazia statale.

Si tratta, tuttavia, di contropartite che non intaccherebbero la specialità siciliana, ma la consoliderebbero, fornendo gli strumenti per utilizzare al meglio i poteri e le risorse disponibili.


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