Saguto, Niceta e gli altri | Un sistema da riformare - Live Sicilia

Saguto, Niceta e gli altri | Un sistema da riformare

Silvana Saguto

Il dissequestro dei negozi di abbigliamento, ormai chiusi, ripropone il tema della gestione dei patrimoni.

PALERMO – Quello dei negozi Niceta non è il primo caso e neppure sarà l’ultimo di imprese sequestrate e poi restituite quando ormai non valgono un soldo bucato. Sarebbe fin troppo facile individuare in Silvana Saguto la causa di tutti i mali. L’ex presidente della sezione Misure di prevenzione, radiata dalla magistratura e sotto processo assieme ad una serie di amministratori giudiziari, è il simbolo del fallimento del sistema, ma non può diventare un parafulmine. Né, tanto peggio, l’ancora di salvezza di chi si è arricchito grazie all’appoggio della mafia.

Il punto è che la storia di Saguto, a cui va concesso ogni diritto di difesa in Tribunale, ha finora rappresentato un’occasione mancata. Si potevano raccogliere i cocci di una lunga stagione giudiziaria per guardare avanti e costruire un sistema diverso. Ed invece il caso Palermo continua a fagocitare l’attenzione. Ci si dimentica che lo scandalo scoppiò nel 2015 e il sequestro ai Niceta, deciso da Saguto, è di cinque anni fa.

Bisogna mettere mano alla legge, cambiarla laddove sia necessario, senza perdere di vista i risultati positivi ottenuti grazie alla Rognoni-La Torre del 1982. Accanto alle misure di prevenzione personali – ad esempio la sorveglianza speciale – furono introdotte quelle di carattere patrimoniale, e cioè il sequestro e la confisca dei beni. L’obiettivo era ed è togliere la forza economica ai clan e a chi ha fatto affari con essi. Nel mirino è finita la cosiddetta imprenditoria mafiosa, senza contare che spesso la figura di boss e imprenditore coincidono. Presupposto della misura di prevenzione patrimoniale è la pericolosità sociale del soggetto. Le prove possono non bastare per condannare una persona al carcere, ma gli indizi risultare sufficienti per colpirne il patrimonio.

È una legge grazie alla quale si sono raggiunti risultati positivi innegabili, ma resta una norma emergenziale. I temi centrali del dibattito odierno sono i tempi della giustizia e la gestione dei beni. Dal sequestro alla confisca di primo grado al massimo può trascorrere un anno e sei mesi. Nel caso di indagini complesse o compendi patrimoniali rilevanti il termine può essere prorogato per ulteriori sei mesi. Due anni, dunque. Il sequestro Niceta è del 2013. Cinque anni: troppi per sperare che la gestione affidata agli amministratori giudiziari non incidesse negativamente.

I problemi da affrontare nella gestione giudiziaria sono innumerevoli. Dalle banche che non concedono più linee di credito agli operai da mettere in regola: lo Stato deve rispettare le leggi che magari altri hanno aggirato. A questo si aggiunge la mancanza di competenze specifiche da parte degli amministratori. La situazione si aggrava quando la mala gestio diviene materia di processi penali. Ci sono persone che hanno approfittato del loro ruolo.

Le modifiche del 2017 al codice antimafia sono apparse come una risposta allo scandalo di Palermo scoppiato nel settembre 2015. La rotazione degli amministratori, il limite negli incarichi e il tetto ai compensi non affrontano il cuore della questione. Basta vedere, ad esempio, i numeri dei magistrati. A Palermo ci sono sei giudici in servizio alle Misure di prevenzione a fronte di una mole di lavoro enorme e rallentato, almeno nella fase post Saguto, dalla necessità di mettere ordine alla sezione. Nel 2017 le misure di prevenzione sono state estese ai corrotti. Ancora più di recente il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha inserito nel decreto sicurezza il potenziamento dell’Agenzia che gestisce i patrimoni confiscati e la possibilità di vendere i beni che non si riesce a utilizzare per fini sociali.

Temi importanti, lontani dalla necessità di riformare il codice antimafia e che non affrontano le questioni dei tempi dei processi e della gestione dei beni. Il Partito Radicale negli ultimi mesi ha lanciato una proposta di legge che prevede la sospensione della misura di prevenzione nell’attesa della sentenza penale e la revoca quando questa sia di assoluzione. L’idea è quella di superare la logica del sospetto. Di recente il codice antimafia ha previsto di mantenere in azienda gli imprenditori a cui sono stati sequestrati i beni sotto il rigido controllo dello Stato. Sono temi seri, ma la riforma del sistema resta lontana.

 


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