In quel frame c'era Paolo | Avrei tanto voluto dirgli... - Live Sicilia

In quel frame c’era Paolo | Avrei tanto voluto dirgli…

Un servizio di tanti anni fa. Borsellino viene incontro. E quel finale che non si può cambiare...

E’ accaduto Sabato pomeriggio. Stavo guardando la trasmissione “A sua immagine” sulla Rai. Non la seguo abitualmente, ma sapevo che c’erano Giovanni Paparcuri, l’autista del giudice Rocco Chinnici miracolosamente sopravvissuto alla strage, e il magistrato palermitano Mario Conte.

Ad un certo punto, mentre scorrevano immagini di repertorio, mi vedo mentre sto entrando al Palazzo di Giustizia di Palermo. “Eccolo, finalmente”. Erano anni, anni, che ne sentivo parlare da amici, conoscenti e parenti che dicevano di avermi visto, ma io non ero a mai riuscito a vedere quel filmato. Ho chiamato Giovanni Paparcuri (si, è un mio amico, e lo dico con orgoglio) e gli ho detto: “Giovà, io non ci riuscirei mai, ma tu che sei bravo, riesci a catturarmi quella immagine?”. Gli sono bastati due giorni per appagare quel mio infantile ed un tantino stupido desiderio. Perché è così. Vederti in TV è una cosa che, chissà perché, ti procura una certa soddisfazione. Anche se appari solo perché fai occasionalmente parte del paesaggio, come un albero, un palo della luce o un’insegna pubblicitaria, finisci sempre col sentirti protagonista. Valli a capire i meccanismi di certe suggestioni.

E così mi sono messo a guardare quella immagine. Il filmato risale agli anni 82-84, così mi ha detto Giovanni. Ero giovanissimo, 27-29 anni. Mi sono chiesto se allora, quel giorno, avevo una pallida idea delle dure prove alle quali mi avrebbe sottoposto la vita negli anni a venire, al punto che oggi dovrei tirare un respiro di sollievo per averle superate. Ma il tempo, si sa, è canaglia, e la nostalgia della gioventù pure. Sono loro che ti fottono e ti tingono sempre di rosa un passato che forse non lo merita. Si, insomma, mi è venuto il magone. Ma mi è durato poco. Mi sono soffermato su quell’uomo di spalle che usciva dal Palazzo. Chissà, mi sono chiesto, di che umore era, quel giorno. Triste, felice, annoiato, forse incazzato. E dove stava andando? Magari in banca a pagare la rata del mutuo- del resto allora non c’erano le Home Banking- o a scuola, a prendere i suoi figli. O forse stava solo tornando a casa, dalla sua famiglia.

Il fatto è che, ad un certo punto, mi sono ritrovato a maledire la impossibilità di entrare in quel frame. Avete presente quando rivedete un film, e state con la speranza che possa cambiare quel finale che odiate, e vi verrebbe la voglia di schioccare le dita e cambiarlo, come per magia, perché proprio vi fa male?

Uguale. Ecco, avrei voluto rientrare in quel frame. Un istante, solo per un istante.

Giusto il tempo di dire a quell’uomo “Stai attento, stai attento a quel cazzo di Fiat 126”.

Quell’uomo, quell’uomo di spalle, era Paolo Borsellino.


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