Marsala, Palermo, poi la fuga | “Un esercito di kamikaze in Italia” - Live Sicilia

Marsala, Palermo, poi la fuga | “Un esercito di kamikaze in Italia”

Parla un tunisino pentito. Il capo della banda scoperta dai carabinieri del Ros è stato in Sicilia.

PALERMO – Non c’è solo la propaganda jihadista sui social, ma anche le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia ad alimentare il sospetto che i terroristi siano passati dalla Sicilia per spostarsi, probabilmente, nel Nord Europa. Uno dei componenti dell’organizzazione ha chiesto di parlare con i magistrati per evitare che ci si ritrovasse con “un esercito di kamikaze in Italia”.

Gli otto fermati dai carabinieri del Ros su ordine della Procura sono Mongi Ltaief (residente a Marsala), Aymen Ouafi (residente a Palermo), Noureddine Jallai (residente a Erice), Mohamed El Kouch (residente a Melissa), Hassen Fadhlaoui (residente a Piana degli Albanesi), Toumi Saber (residente a Valderice), Michele Mercurio e Salvatore Sutera (abitano a Palermo, in via Sperone e via Messina Marine, sono indagati per contrabbando di sigarette).

I ricercati sono Ahmed Kheder, Khaled Ounich (che lo scorso ottobre è stato rimpatriato in aereo in Tunisia), Anis Beltaief, Aymen Fathali, Taoufik Naaoui, Lamjed e Chaker Ben Kraiem. I capi sono tre, Kheder, Ounich e Mongi, di cui i primi due latitanti.

Nella ricostruzione del procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dell’aggiunto Marzia Sabella e dei sostituti Claudia Ferrari e Calogero Ferarra si parla di “attuale e concreta minaccia alla sicurezza nazionale”.

“Sussistono significativi ed univoci elementi per ritenere che l’organizzazione in esame – si legge nel provvedimento – costituisca un’attuale e concreta minaccia alla sicurezza nazionale poiché in grado di fornire a diversi clandestini un passaggio marittimo occulto, sicuro e celere che, proprio per queste caratteristiche, risulta particolarmente appetibile anche per quei soggetti ricercati dalle forze di sicurezza tunisine, in quanto gravati da precedenti penali o di polizia ovvero sospettati di connessioni con formazioni terroristiche di matrice confessionale”.

Il racconto del tunisino pentito merita la massima attenzione: “Ho ritenuto fortemente probabile che attraverso il sistema di collegamenti via mare dell’organizzazione che ho conosciuto in Sicilia, alcuni terroristi possano giungere in Italia con il loro aiuto”. Sono state le prime parole che ha messo a verbale.

È sulle figura di Monji e Ahmed che si addensano le ombre più pesanti. Nel primo caso il tunisino “pentito” ha spiegato che “… attraverso le discussioni che ho avuto con Monji Ltaief posso dire che i clandestini normali pagano 5000 dinari tunisini mentre le persone che sono ricercate in Tunisia, per vari reati compreso il terrorismo, pagano da 10000 dinari in su”.

Ancora più dettagliato il racconto nel caso di Ahmed, il vero leader che faceva propaganda in rete per l’Isis: “Nel giugno del 2016 ho incontrato un tunisino di nome Ahmed detto Kahla (che significa il nero, per via del colore scuro della pelle) di età approssimativa di 30 anni, magro, alto circa un metro e ottanta che in Tunisia abita nel quartiere Ibn Sina di Tunisi confinante con il mio, ed a Marsala viveva in un appartamento in centro e sul conto so per certo che è ricercato in Tunisia per terrorismo ed arrivato in Italia da qualche mese. Attualmente dovrebbe vivere a Palermo insieme a suo fratello più giovane e ad una ragazza di nome Ameni, forse tunisina. Non so quale sia la sua attuale attività lavorativa in Italia”. A Palermo, però, i militari non lo hanno trovato. Si è spostato prima che finisse sotto osservazione. Molto probabilmente è rientrato in Tunisia.


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