Fine del congresso della discordia | Il Pd in Sicilia non smette di litigare - Live Sicilia

Fine del congresso della discordia | Il Pd in Sicilia non smette di litigare

Scambi polemici tra separati in casa. Territori ignorati. Aspettando i gazebo di marzo.

PALERMO – Il lungo congresso dei veleni del Pd in Sicilia è finito. In un clima ormai al limite del surreale, con un pezzo di partito arroccato sull’Aventino e un altro pezzo che ha monopolizzato gli organismi. Un partito a brandelli in cui quotidianamente i separati in casa si lanciano stracci. Nemmeno sui risultati ci si è riusciti a mettere d’accordo. Quelli ufficiali sul congresso nazionale, nell’Isola hanno visto Maurizio Martina battere di misura Nicola Zingaretti. Gli zingarettiani hanno contestato i dati degli organismi, saldamente in mano ai renziani. E pur riconoscendo alla fine il risultato favorevole a Martina, denunciano violazioni delle regole che avrebbero impedito lo svolgimento democratico del congresso. Teresa Piccione, la candidata alla segreteria regionale che si ritirò dalla corsa proprio denunciando violazioni del regolamento e decretando così la vittoria a tavolino di Davide Faraone, commenta così l’esito del voto degli iscritti per il congresso nazionale: “Si è conclusa la prima fase del Congresso nazionale del Partito democratico, quella in cui votano gli iscritti per scegliere il nuovo segretario nazionale. Nicola Zingaretti ha vinto inaspettatamente questa tornata con il 48% dei voti. Anche in Sicilia la sua affermazione è stata netta. Con il suo 45% contro il 48% di Martina dimostra che avrebbe vinto ampiamente in Sicilia se non fosse stato messo in atto dai vertici delle Commissione regionale e da alcune commissioni provinciali preposte a organizzare il Congresso, un atteggiamento ostruzionistico con caratteri di palese illegittimità, volto a impedire lo svolgimento sereno e democratico del Congresso nazionale in Sicilia così come si era già verificato per il Congresso regionale”

Piccione riassume le scelte dei vertici del partito, legati a Faraone, che hanno penalizzato la mozione Zingaretti. “È infatti stato annullato il Congresso a Trapani e non si è consentito agli iscritti di Enna di votare per colpevoli ritardi. Siamo fiduciosi che alle primarie del 3 marzo anche i cittadini siciliani premieranno col loro voto Nicola Zingaretti e ci saranno una mano a ricostruire il Partito democratico e il Paese per una nuova stagione della democrazia, dei diritti e del lavoro”. Trapani ed Enna erano due province in cui era pronosticabile un successo di Zingaretti. A Enna non si è nemmeno votato, a Trapani si è votato nella maggior parte dei circoli, 17 su 21, ma il voto è stato annullato dagli organi di garanzia appannaggio dei renziani. “Quello che è successo a Trapani è indecente e stupido”, commenta amareggiato il deputato Baldo Gucciardi, che sostiene Zingaretti e che parla di una grande delusione nel territorio, “soprattutto di quei giovani nuovi iscritti che non hanno capito cosa sia successo”.

I faraoniani ribattono con Carmelo Greco, dell’Area Martina. “Ormai siamo allo ‘stalkeraggio politico’ orchestrato da Peppino Lupo e Teresa Piccione che, non accettando di essere minoranza anche fra gli iscritti, passano il loro tempo a costruire racconti grotteschi e ad alimentare un clima di scontro e odio costante. Non li seguiremo in questo tentativo di distruzione del Pd”. Per Greco “c’è un nuovo gruppo dirigente che sta provando a risollevare le sorti del Partito in Sicilia nonostante debba impiegare buona parte del proprio tempo a difendersi dal “fuoco amico” del vecchio gruppo dirigente che, mentre siamo impegnati nella battaglia politica contro Salvini e i 5stelle, pensa solamente a spulciare scartoffie e scribacchiare ricorsi privi di significato. Faremo la battaglia per le primarie del 3 marzo con la stessa serenità e allegria del primo turno continuando il lavoro di rinnovamento del Pd siciliano anche dopo ed a prescindere da chi sarà il vincitore. Teresa se ne faccia una ragione”.

Questo il clima nel partito che resta ferito e diviso. E dove si aspetta ormai solo la sfida ai gazebo per la resa dei conti finale. Il gruppo che sostiene Zingaretti spera che un successo del governatore del Lazio possa rimettere in discussione gli assetti del partito, figli di un congresso avvelenato da ricorsi, carte bollate e forzature. I renziani per ora fanno spallucce e seguono Faraone nel tentativo di caratterizzare il nuovo corso con iniziative di piazza e movimentiste. Dentro il gruppo parlamentare, dove i renziani sono maggioranza, ha tenuto una tregua armata, dopo la lettera dei fedelissimi di Faraone che chiedevano una riunione al capogruppo Giuseppe Lupo, possibile preludio a una sfiducia. È il momento di fare opposizione al governo regionale e le beghe di partito per il momento vengono messe da parte all’Ars. Come quando nei giorni scorsi il Pd è sceso in piazza contro il governo nazionale in un evento che ha visto anche la partecipazione dei big di Areadem, avversi ai renziani. I primi di marzo si faranno i conti al gazebo. E dall’indomani a qualcuno toccherà incollare i cocci del Pd se non si vuole andare verso scenari di scissione.


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