Non è prestanome del mafioso| Ma i suoi beni sono confiscati - Live Sicilia

Non è prestanome del mafioso| Ma i suoi beni sono confiscati

Il Gran Cafè San Domenico

Protagonista una donna, titolare di due noti bar.

Palermo, il caso
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PALERMO – È stata assolta nel merito dopo avere rinunciato alla prescrizione, ma i beni per i quali non è colpevole di intestazione fittizia nel frattempo sono stati confiscati. “È una situazione paradossale”, così la definisce l’avvocato Giovanni La Bua, quella di Maria Teresa Di Noto.

È ormai definitiva la sentenza che lo scorso 31 gennaio ha dichiarato prescritto il reato contestato a Daniela Bronzetti, Maria Donis Zaccheroni, Antonino Prester, Giovanna Citarella, Antonella Cirino, Giuseppe La Mattina, Salvatore Pietro Dolcemascolo, Laura Seminara e Paola Carbone. Anche loro erano imputati con l’accusa di essersi intestati fittiziamente dei beni riconducibili a Francesco Palo Maniscalco.

L'avvocato Giovanni La Bua

L’unica assolta nel merito è stata Di Noto, difesa dall’avvocato La Bua, che ha “espressamente richiesto” di essere giudicata rinunciando alla prescrizione. La donna era accusata di avere fatto da prestanome del cugino Maniscalco nel “Gran Cafè San Domenico”, nell’omonima piazza, e nel bar Trilly di via Giacomo Cusmano. Da alcune intercettazione emergeva che Maniscalco si era limitato a interessarsi dei lavori per le insegne delle attività commerciali. Nulla di più.

Noto ha poi dimostrato che per aprire il Trilly aveva attinto dai soldi incassati al San Domenico che gestiva da anni con la sua famiglia. Non è emersa, scrive il giudice nella motivazione dell’assoluzione, “anche volendo ammettere la corresponsione di un parziale contributo per l’avviamento dell’attività in questione, la consapevolezza dell’imputata di fornire ausilio al cugino al fine di eludere l’applicazione della misura di prevenzione”.

Misura di prevenzione giunta alla confisca di primo grado. Lo scorso settembre, dopo che Maniscalco è stato condannato a 6 anni per intestazione fittizia, gli sono stati tolti i beni. Era diventato un pezzo grosso nel settore del caffè. Caffè e non solo a giudicare dall’elenco dei beni: “Sicilia e Duci distribuzione snc di Maniscalco Giuseppe”, “Cieffe Group ingrosso Caffè” intestata a Daniela Bronzetti, Bar Intralot di via Carlo Pisacane,”Caffè Florio di Zaccherone Maria” con sede in via Quattro Coronati, il Gran Cafè e il Trilly.

Storia giudiziaria tormentata quella di Maniscalco. Di lui si iniziò a parlare nel 1991 quando un commando svuotò il caveau del Monte di Pietà, a Palermo. Bottino: oro e gioielli per 18 miliardi di lire, di cui non si è saputo più nulla. Del commando faceva parte Maniscalco. Nella sua fedina penale c’è anche una condanna per mafia con il suo nome accostato a quello di Totò Riina.

Dopo avere finito di scontare nel 2006 una condanna a sei anni e otto mesi si era lanciato nel mondo degli affari. Maniscalco, secondo l’accusa, cambiava continuamente i soci delle aziende, ne chiudeva alcune per aprirne poco dopo altre.

 


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