Dalla Fiat all'ibrido| Il declino di Termini - Live Sicilia

Dalla Fiat all’ibrido| Il declino di Termini

L'apertura negli anni Settanta, poi la chiusura voluta da Marchionne e le trattative infinite

IL CASO BLUTEC
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PALERMO – Uno stabilimento sorto negli anni Settanta, frutto di un’alleanza tra l’allora Fiat degli Agnelli e la Regione siciliana, divenuto uno dei poli industriali dell’Isola ma di cui, dopo 50 anni, rischia di rimanere solo un pallido ricordo. Il peggiore degli incubi di Termini Imerese potrebbe divenire realtà: la gloriosa storia del sito industriale in provincia di Palermo vive da tempo una parabola discendente che, al di là degli annunci e delle ripartenze che puntualmente arrancano, appare inarrestabile.

Una crisi iniziata già negli anni Novanta, quando i risultati dei primi due decenni sono ormai lontani, ma che si concretizza dopo il Duemila: è l’epoca di Sergio Marchionne, del manager dal piglio americano che rivoluziona la casa automobilistica di Torino facendole scoprire nuovi mercati e ponendole obiettivi sempre più lontani dalla Sicilia. Una strategia ben precisa che prevede il dislocamento della produzione e la chiusura definitiva del sito di Termini Imerese, considerato poco strategico e troppo costoso: una scelta che solleva le proteste dei sindacati e della politica, ma che non riesce a centrare l’obiettivo di evitare la chiusura di quella che una volta era la Sicilfiat.

L’azienda torinese nel 2012 abbandona definitivamente l’Isola, ma è almeno dall’inizio del 2010 che il governo siciliano e quello romano cercano soluzioni per riconvertire il sito industriale. L’anno successivo, nel 2011, arriva l’Accordo quadro fra il Ministero, la Regione, la Provincia e il Comune che prevede un miliardo di investimenti e l’occupazione di oltre 3 mila persone grazie a una cordata di privati e a una corposa partecipazione pubblica, oltre alla promessa di nuove infrastrutture e a vari sgravi.

Un processo che va di pari passo con gli ammortizzatori sociali, ma che in realtà non riesce mai ad ingranare: passano gli anni, si moltiplicano gli annunci e i tavoli romani, si propongono ben quattro progetti di reindustrializzazione tra auto ibride ed energie rinnovabili. E’ l’ottobre del 2014 quando il governo nazionale annuncia l’avvio del progetto Grifa, Gruppo italiano fabbrica, per la produzione di auto ibride ed elettriche, ma la mancata capitalizzazione fa svanire il sogno.

A dicembre del 2014 la Grifa esce di scena per far posto a Metec, una società italiana che fa componenti per le vetture e che ha forti interessi in Brasile: una prospettiva “solida” per Roma che punta tutto su Metec per far rinascere Termini Imerese, grazie al completo riassorbimento dei lavoratori. Nasce così la newco Blutec, interamente controllata da Metec, che presenta un piano industriale su quattro anni: una prima fase per la componentistica, una seconda per due modelli di ibride. I lavoratori danno il consenso al progetto che prevede, entro il 2018, il rientro in fabbrica di 760 operai, grazie anche alla nuova cassa integrazione, ma anche stavolta i tempi si allungano: nel 2015 il Mise è costretto a tranquillizzare i sindacati sulla ricapitalizzazione di Blutec e in effetti un centinaio di operai tornano a lavorare, ma la lentezza sul decollo del piano inizia a destare preoccupazioni. Nel 2018 la tegola più pesante: Invitalia chiede a Blutec di restituire 21 milioni di euro per spese inammissibili e parte un’inchiesta sull’uso dei fondi. Fino all’epilogo giudiziario di oggi, con l’arresto dei vertici aziendali e il sogno di una rinascita della Termini Imerese industriale che sembra svanire ancora una volta.

 


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