"Il nostro grande preside amico" | Ma Fabrizio non è mai andato via - Live Sicilia

“Il nostro grande preside amico” | Ma Fabrizio non è mai andato via

Lo striscione del Finocchiaro Aprile, il preside Fabrizio Mangione nella foto in home presa dal web

Il ricordo del professore Mangione, indimenticabile preside del liceo 'Finocchiaro Aprile' di Palermo.

PALERMONella stanza del professore Fabrizio Mangione, preside del liceo ‘Finocchiaro Aprile’, morto qualche giorno fa, si respira un’aria frizzante, a dispetto dell’assenza. Talvolta ai luoghi abitati da uomini che hanno poggiato in un angolo il loro cuore capita di rimanere impigliati nel solfeggio di una presenza armoniosa. Dunque, non ingannino la fissità degli oggetti, i ventagli adagiati sul pianoforte, le carte sulla scrivania in attesa della polvere: si avverte il sogno di una mano, di quella mano, che tornerà per riaprire la porta e spalancare le finestre.

Il professore Fabrizio ha lasciato lacrime visibili già all’ingresso della scuola, unite alla gioia di averlo conosciuto. Il custode, Roberto Cordaro, nasconde il pianto e racconta: “Era il nostro grande preside e il nostro amico vero. Una persona umile, perbene. Ci guidava senza bisogno di comandare. La nostra comunità è ferita, i ragazzi sono in silenzio da un po’. Prendevamo il caffè nella sua stanza. Era colto, sensibile e capace. Ci faceva sentire come una famiglia”.

E’ un giudizio condiviso dalle facce addolorate che affollano la portineria. Ida, una bella signora napoletana, trapiantata a Palermo per il grande amore della vita, aggiunge con un sorriso: “Il preside mi chiamava per scherzo la ‘scostumata’ perché ho un carattere diretto. Non lo dimenticheremo mai”. Mentre Ida parla, fanno di sì con la testa Giuseppe ed Egle. Poi, tutti insieme, prendono uno striscione degli studenti. C’è scritto: “Il dolore ci ha sorpreso, ma ci rialzeremo”.

E’ una comunità stordita questa del ‘Finocchiaro’. Fabrizio Mangione aveva insegnato agli italiani in Germania, si batteva per scuole più a misura di sapienza e umanità, ascoltava, ma diceva i suoi no necessari e la vicinanza che offriva non era mai condiscendenza o abdicazione. “Per noi è il preside, non il dirigente – spiega la sua vice, la professoressa Pina Peraino – proprio perché interpretava il suo lavoro come una missione impossibile da negoziare. Ha piantato un seme che non sarà sprecato, possiamo solo essergli grati”.

E’ una comunità familiare e affettuosa, che si narra, che permette l’attraversamento nella profondità del lutto. I professori si riuniscono in presidenza. Una foto, ma non accanto alla scrivania, come se anche loro attendessero il ritorno e fossero preoccupati di non toccare niente. Parlano. Si confessano. Sono prof tenaci, di quelli che si ricordano.

La professoressa Gabriella De Gaetano racconta: “Aveva creato un gruppo con noi per discutere di rock su Facebook. Era un amante della musica, suonava il basso. Una personalità profonda, dotata di una incantevole leggerezza”. La professoressa Valentina D’Anna ricorda un ‘grazie’ dopo un lavoro svolto bene. “Non me l’aspettavo, non è consueto che si venga ringraziati per qualcosa che devi comunque fare. Ci chiamava colleghi”. La professoressa Natalia Visalli aggiunge: “Quattro anni fa, ero sul punto di andare in pensione. Devo proprio a lui se sono rimasta al mio posto. Un signore, un gentiluomo”.

E ci sono i ragazzi, benedetti da una trasparenza nello sguardo che l’esperienza del distacco ha reso più nitida. I ragazzi eternamente sospesi tra un panino con le panelle a ricreazione e una poesia di Leopardi.

Raccontano: “Era il preside, con tutta l’autorevolezza del suo ruolo, ma era anche disponibile, attento e comprensivo. La sua porta rimaneva sempre aperta, non per modo di dire. Perdiamo una guida”. Parlano tanti, impossibile citarli tutti. Nella memoria di chi non smetterà di volergli bene, il professore Mangione cammina per i corridoi, passa la mano sulla polvere delle carte, suona il basso, sorride e chiacchiera, esaudendo il desiderio del suo ritorno.

Roberto, il custode, l’ha sognato: “Era al cancello del liceo, bellissimo, con una camicia bianca. ‘Preside, le posteggio la macchina?’. ‘No, scusami, non posso fermarmi’”. Ma Fabrizio non è mai andato via.

La foto nella stanza del preside

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