Il calvario delle liste d'attesa | Micciché: “Ripartire dai privati” - Live Sicilia

Il calvario delle liste d’attesa | Micciché: “Ripartire dai privati”

Tre mesi per esami da fare entro tre giorni. Cittadini (Aiop): “Così si creano diseguaglianze”.

SANITA'
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PALERMO – Il Servizio Sanitario Nazionale continua a registrare alcune criticità tra le quali quella delle liste d’attesa: una condizione comune da Nord a Sud della penisola e la Sicilia non fa eccezione. A scattare questa fotografia è il 16° Rapporto annuale “Ospedali & Salute 2018”, del quale si è discusso oggi al Palazzo dei Normanni, promosso dall’Associazione Italiana Ospedalità Privata (AIOP) e realizzato dalla società Ermeneia – Studi & Strategie di Sistema.

Quella delle liste d’attesa, si legge in una nota di Aiop, è un’esperienza vissuta, nell’ultimo anno, da circa 20 milioni di persone per accedere a visite specialistiche, accertamenti diagnostici e ricoveri ospedalieri. Un fenomeno che alimenta smarrimento, disuguaglianze e malcontento: ciononostante, 2 italiani su 3 si dichiarano soddisfatti del Servizio sanitario della propria regione.

Il Rapporto, presentato per la prima volta in Senato nel mese di gennaio, analizza l’andamento del sistema ospedaliero italiano, con un focus sulla domanda di prestazioni sanitarie e la qualità dell’assistenza percepita dai cittadini.

L’occasione della presentazione di Palermo ha fornito l’opportunità di estendere alla realtà siciliana il dibattito su due ‘temi caldi’ del SSN – liste d’attesa e uso improprio e, quindi, sovraffollamento dei Pronto Soccorso –, grazie a un approfondimento elaborato nella Sede dell’Assemblea Regionale Siciliana. 

La criticità delle liste d’attesa in Sicilia

I siciliani attendono fino a 2 mesi per accedere a prestazioni specialistiche per le quali i tempi massimi di attesa non dovrebbero superare i 3 giorni. Le liste più lunghe si registrano per l’ecocolordoppler cardiaco (57,2 giorni per il 21% degli utenti), seguito dalla colonscopia (50 giorni nel 41% dei casi). Sono significative anche le attese per le prestazioni da erogare entro i 10 giorni, che possono prolungarsi fino a 3 mesi: è il caso della mammografia bilaterale (88 giorni per il 30% degli utenti) e, ancora una volta, della colonscopia (89,3 giorni per il 43% degli utenti).

Le attese non risparmiano neanche le prestazioni di ricovero: ad esempio, per quelle da effettuare entro i 30 giorni, circa il 13% dei pazienti attende fino al doppio del tempo (67 giorni) per un ricovero ordinario, mentre per il 7,5% di chi è in lista per un ricovero in day hospital, l’attesa può protrarsi fino a 105 giorni1.

Dal punto di vista dei cittadini, registra il report di Aiop, le liste d’attesa rappresentano una rilevante inefficienza del SSN, non solo perché generano ansie e disagi ai pazienti e alle loro famiglie, ma soprattutto, perché sono la prima causa di rinuncia alle cure (51,7%, +4,1 punti rispetto al 2017 – dato nazionale), e concorrono ad alimentare, da un lato la spesa out-of-pocket, dall’altro la mobilità sanitaria, aumentando, ulteriormente, le diseguaglianze tra regioni. Oltre il 30% degli utenti, infatti, per ricevere una risposta tempestiva, sceglie di pagare privatamente le prestazioni o ricorrere ad ospedali in altre regioni.

“Le liste d’attesa rappresentano un elemento di forte disuguaglianza sociale, in quanto inducono molti cittadini a rinunciare alle cure, a pagarle o a migrare nelle regioni nelle quali l’offerta sanitaria è programmata per rispondere in maniera efficiente e in tempi ragionevoli alla domanda di salute. Per risolvere questa criticità e superare le disomogeneità territoriali nell’accesso alle prestazioni sanitarie, risulta indispensabile potenziare, in termini quali-quantitativi, l’offerta dei servizi erogati, promuovendo la piena integrazione tra la componente di diritto pubblico e quella di diritto privato del SSN, in una condivisione di intenti, affinché i valori del sistema universalistico e solidaristico non vadano smarriti e vengano preservati e custoditi”, commenta Barbara Cittadini, Presidente AIOP.

L’uso improprio del Pronto Soccorso

Altro fenomeno analizzato nel Rapporto, che rende necessaria l’individuazione di soluzioni, in tempi rapidi, è quello degli accessi al Pronto Soccorso che aumentano in maniera sensibile – nell’ultimo anno, vi ha fatto, infatti, ricorso quasi un terzo della popolazione nazionale adulta, pari a 14,5 milioni di italiani –, diventati una soluzione per accedere più rapidamente alle prestazioni sanitarie.

In base a quanto emerso dalla ricerca, oltre il 50% degli italiani ricorre ai dipartimenti di emergenza quando non trova una risposta dalla medicina territoriale, mentre, in più di 1 caso su 4, tenta, direttamente, la strada del Pronto Soccorso come soluzione per accorciare le liste d’attesa, con tutte le conseguenze negative che ne derivano rispetto all’affollamento degli ospedali, costretti a far fronte a un numero crescente di pazienti, in molti casi senza avere le risorse e gli strumenti adeguati.

Questo atteggiamento trova conferma in Sicilia dove, tra il 2017 e il 2018, è cresciuta del 71% la percentuale di pazienti che si sono rivolti ad un Pronto Soccorso pubblico che, non potendo assisterli in quell’ospedale, li ha inviati in una struttura accreditata del SSN. La percentuale sale addirittura al 164,3% nella provincia di Catania, seguita da quelle di Trapani (75,8%) e di Palermo (74,3%)2.

Non sorprende, allora, che più di un terzo dei cittadini (34,5%) ritenga necessario individuare soluzioni per limitare le attese nei Pronto Soccorso situati negli ospedali pubblici, anche tramite il ricorso alle strutture accreditate, che potrebbero garantire tale servizio, se incluse nella Rete regionale di emergenza/urgenza.

In generale, un italiano su tre, tra coloro che hanno avuto esperienze di liste d’attesa e/o di Pronto Soccorso, si dichiara insoddisfatto del Servizio Sanitario della propria regione, soprattutto degli ospedali pubblici (32,6%) e delle strutture delle ASL (28,6%), in percentuale minore, invece, degli ospedali privati accreditati (18,3%) e di quelli non accreditati (14,3%).

“Per arginare questi fenomeni, che coinvolgono milioni di italiani, è indifferibile procedere a una riorganizzazione del SSN, sia dal punto di vista economico-finanziario, sia dell’offerta sanitaria, che non è più coerente con la domanda di salute, come conseguenza dell’allungamento della vita media, dell’aumento delle patologie croniche e per effetto della progressiva diminuzione della quota del PIL destinata alla Sanità. La realtà, descritta nel Rapporto “Ospedali & Salute 2018”, che trova riscontro anche nel contesto siciliano, deve indurci a recuperare i presupposti che hanno ispirato, 40 anni fa, la nascita del SSN, reinterpretandoli nel mutato contesto demografico, sanitario ed economico. In questo processo di efficientamento auspichiamo che le Regioni sappiano utilizzare adeguatamente, superando qualsivoglia resistenza ideologica, la risorsa della componente di diritto privato del SSN, che ha la possibilità di adeguare e incrementare la propria offerta di prestazioni in tempi rapidi e a costi contenuti. Le Regioni che hanno operato questa scelta si trovano oggi in una condizione migliore e registrano livelli più alti di soddisfazione dei cittadini”, conclude Barbara Cittadini.

Micciché: “Ripartire dal settore privato”

“Dobbiamo ripensare alla riorganizzazione della sanità in Sicilia ripartendo dal settore privato che è molto efficiente ed economico rispetto al servizio sanitario pubblico”. Lo ha sottolineato il presidente dell’Ars, Gianfranco Miccichè. “Spesso, a Roma, – ha proseguito – ci contestano l’alto costo del servizio di emergenza-urgenza, ma non tengono conto delle difficoltà orografiche della Sicilia e, soprattutto della carenza di infrastrutture. A volte, per percorrere pochi chilometri, un’ambulanza impiega ore, che possono essere fatali per il paziente”,

Miccichè ha poi ricordato gli ottimi risultati della Lombardia che “ha dato un enorme spazio agli operatori sanitari privati rivoluzionando un settore che oggi è più efficiente ed economico rispetto agli anni passati”. Miccichè ha poi invitato l’assessore regionale alla Salute, Ruggero Razza, “che stimo per le sue doti che ho avuto modo di apprezzare, ad intestarsi questa rivoluzione in Sicilia”.

“Per la Sicilia il 2019 sarà l’ultimo anno in cui si utilizzerà il budget storico per le strutture private, dal primo gennaio 2020 non sarà più cosi”. Lo ha detto l’assessore regionale alla Salute, Ruggero Razza, intervenendo alla presentazione del Rapporto. “Avvieremo un confronto con l’Aiop regionale – ha aggiunto Razza – E’ vero che ci si può muovere all’interno di risorse, ma la politica deve fare delle scelte, si aprirà un tavolo prima dell’estate ma dal primo gennaio del 2020 non sarà più possibile tenere per le strutture private in Sicilia lo stesso budget di quindici, vent’anni fa anni fa, senza che esso sia profondamente rivisto e innovato”.


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