L'amore portato | da un volo di cicogna - Live Sicilia

L’amore portato | da un volo di cicogna

Auguri perché...

Garofalo all'occhiello
di
4 min di lettura

Hai mai visto il volo delle cicogne? Hai mai visto uno stormo di cicogne che migrano, partendo dai rigori delle nevi alla ricerca dei paesi caldi? Hai mai notato la cicogna che si stacca dal gruppo per avvicinarsi ai tetti delle case? Mi sono sempre chiesto il perché della cicogna. Mi ha sempre incuriosito il volo di un uccello così grande, eppure così sottile, e il dolce incarico che gli ha affidato l’umanità che attende l’arrivo dei propri cuccioli.

Certo, ci vuole grande abilità nei lunghi spostamenti, ci vuole forza, ci vuole accudimento. Non poteva essere una vorace aquila, né un condor, né una paciosa civetta, né un gabbiano troppo affezionato alla riva del mare a prendere un impegno così delicato. Doveva essere per forza quel bellissimo misto di vitalità e di eleganza, candore e leggiadria che è una cicogna. In molti ne abbiamo aspettato il transito; conosciamo la trepida attesa dei fratellini, con gli occhi al cielo di mamme col pancione.

Bisogna crederci, alle cicogne. Soprattutto quando si sta lì ad aspettarle, ma non si decidono ad arrivare. Soprattutto quando certi vicini di casa, certi parenti-serpenti, certe malelingue rose dall’invidia e dalla malignità lanciano piccoli e grandi velenosi strali all’indirizzo di sposi che ancora attendono, carichi di speranza. Soprattutto quando si diventa destinatari di certe goffe e ipocrite considerazioni, come “Niente figli? Beati voi, sapeste che guai che vi scansate!”. Come se non ci fosse altro che egoismo, nel desiderio di maternità; come se non si potesse desiderare altro che l’affermazione della propria genia, del proprio cognome, della propria stirpe.

Come se il desiderio di amare non fosse già amare perdutamente. Che ne sanno della rabbia di vedere l’infanzia maltrattata dei telegiornali? Che ne sanno di cosa si prova nel vedere certe maternità e paternità indegne e degeneri, e avvertire una leggera parvenza di condanna divina, di punizione personale e immeritata, nella privazione del figlio? Che ne sanno di cosa si provi nel sentirsi pronti, sempre pronti ad abbracciare chi non vuol decidersi ad arrivare, e provare sempre, mese per mese, la stessa dolorosa disillusione?

Ci sono camerette silenziose e vuote. Ci si entra di nascosto e ci si ostina a non mettere ordine su scartoffie e scatoloni di cianfrusaglie che si vorrebbe buttare fuori per lasciare spazio a culla e carillon. Si guarda fuori dalla finestra, che belle giornate. Passeggiando per la città si passa con apparente distrazione dai parchi con le altalene e gli scivoli; ci si gira dall’altra parte. Poi la sera ci si guarda e ci si abbraccia, non-ancora-mamme con non-ancora-papà.

Perché quando una coppia non si scioglie, sfilacciata, nella tristezza e nella paura della sterilità, può cementarsi e rendersi solida ancora di più, stringimi più forte, dimmi che non sei deluso, dimmi che mi ami sempre. Nelle stagioni di mezzo, può capitare di assistere al passaggio degli uccelli migratori. Sono alti, volano in formazione, sono pattuglie aeree in missioni di pace. Si guardano con ammirazione e benevolenza; si guardano in due, con desiderio. “Se ne staccasse uno, uno solo di quegli esemplari, mio Dio, per posarsi sul camino di casa nostra!” Poi si guarda il calendario, siamo a maggio: anche febbraio sarebbe un bel mese per nascere. Come qualunque altro mese.

Nel giorno in cui si festeggiano le mamme, provo un’ineffabile tenerezza per quelle mamme-non-ancora, con i loro giocattoli nascosti e le camerette sempre pronte e troppo silenziose. È un bel vedere, mamme che attendono all’uscita della scuola, scambiarsi ricette di cucina e commenti profondi o frivoli su chiunque. È un piacevole appuntamento, quello di intere scolaresche che cantano in coro, petto in fuori e bocche in alto, alle mamme e alle loro pazienze affettuose. È la loro festa. Ma c’è anche chi non c’è, tra loro; che vorrebbe esserci, che un giorno ci sarà, lo voglia il cielo, lacrimuccia sulla guancia e fazzoletto in mano.

Auguri, mamme-non-ancora. Auguri, mamme non ancora germogliate, non ancora affaticate, non ancora preoccupate, non ancora pienamente sorridenti; mamme in potenza, alle prese con le combinazioni di volo per l’ennesimo viaggio della speranza, verso i paradisi delle fecondazioni artificiali. Auguri alle vostre braccia vuote e ai vostri cuori pieni. Auguri ai vostri “non ancora” e ai vostri temuti “non più”. Auguri alla speranza che non muore mai. Auguri a voi, oggi è anche la vostra festa.

Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI