La nuova mafia di Brancaccio FOTO| Scimò e Testa guidavano il clan - Live Sicilia

La nuova mafia di Brancaccio FOTO| Scimò e Testa guidavano il clan

Chi sono e di cosa si occupavano tutti gli arrestati nel blitz della polizia GLI ARRESTATI

PALERMO – Pietro Tagliavia, arrestato nel 2017, aveva passato il bastone del comando a Luigi Scimò, che a Brancaccio tutti chiamano Fabio, e a Salvatore Testa. Sono stati loro due a riorganizzare la famiglia mafiosa di Corso dei Mille e l’interno mandamento.

Si sono mossi cercando appoggio e alleanza con altri boss. Come Pietro Salsiera e Sergio Napolitano di Resuttana, Giovanni Sirchia di Passo di Rigano, Filippo Bisconti di Belmonte Mezzagno (oggi collaboratore di giustizia) e Leo Sutera, rappresentante della provincia di Agrigento. Oggi sono tutti detenuti.

Quando Scimò fu scarcerato nel 2014 Tagliavia diede subito incarico a un suo uomo di mettersi a sua disposizione, di fargli sentire la vicinanza della famiglia. E c’era sempre Scimò, così ha raccontato il pentito Salvatore Sollima, fra i presenti ad una riunione convocata nel 2015, fra i boss di Bagheria e quelli di Brancaccio per mettere a posto delicate questioni di confine. I bagheresi si presentarono armati fino ai denti, ma non fu necessario usare le pistole calibro 38 e 7.65 che si erano portati dietro.

Il 3 luglio dell’anno scorso Scimò e Settimo Mineo, l’anziano boss che presiedeva la nuova commissione provinciale di Cosa nostra, si sono dati appuntamento in un’agenzia di pompe funebri in corso Calatafimi. C’era pure Salvatore Sorrentino, detto lo studentino, braccio destro di Mineo, anche lui arrestato. 

Scimò e Testa hanno messo in piedi una squadra. Salvatore Giordano e Giuseppe Di Fatta si sarebbero occupati del pizzo da imporre ai commercianti. Si faceva cassa con il contrabbando di sigarette, coordinato da Girolamo Castiglione, e con le macchinette videopoker, gestite da Giovanni De Simone e Aldo Militello.

Scimò si era anche lanciato nel business delle case di riposo, la cui gestione era affidata ad Anna Gumina e Pietro Di Marzo. Quest’ultimo, genero di Scimò, si è anche occupato dell’acquisto di una partita di cocaina, attivando un canale con i Barbaro di Platì, da spacciare nelle piazze palermitane.

Scimò e Testa avevano il pieno controllo del territorio. E così quando alcuni rapinatori misero a segno un colpo senza autorizzazione ad una sala bingo furono convocati, “processati” e obbligati a consegnare il bottino. Significato è l’episodio del furto dello scooter subito da Di Marzo che, una volta rintracciato il ladro, costrinse i genitori a comprargli uno scooter nuovo.

Nel corso delle indagini è emerso un giro di usura gestito da Caterina Feliciotti, moglie di Enrico Urso, l’uomo che si occupava di organizzare i summit fra i mafiosi.

Mentre i poliziotti della squadra mobile indagavano sulle dinamiche mafiose hanno ricostruito una serie di furti, contestati a Paolo e Pietro Rovetto.

In carcere, su richiesta della Procura di Palermo, finiscono Luigi Scimò, detto Fabio, Salvatore Testa, Giuseppe Di Fatta, Salvatore Giordano, Patrizio Militello, Aldo Militello, Giovanni De Simone, Pietro Di Marzo, Girolamo Castiglione, Stefano Micalizzi, Vincenzo Machì Gioacchino Micalizzi.

Ai domiciliari Lorenzo Mineo, Filippo Maria Picone, Francesco Salerno, Enrico Urso, Santo Licausi, Paolo Leto, Gaetano Li Causi, Caterina Feliciotti, Paolo Rovetto, Pietro Rovetto.

Divieto di dimora a Palermo per Giovanni D’Angelo, Pietro Mendola e Anna Gumina.

 LE FOTO DEGLI ARRESTATI


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