L'invasione non esiste | Ora basta con l'odio - Live Sicilia

L’invasione non esiste | Ora basta con l’odio

E' il momento di abbandonare toni violenti e mettersi attorno a un tavolo per decidere il da farsi

SEMAFORO RUSSO
di
4 min di lettura

Ci risiamo, la barca a vela “Alex” della ong Mediterranea si trova, mentre scriviamo, a poche miglia di Lampedusa con 54 migranti a bordo. Parliamo di 65 persone, compreso l’equipaggio, in pochissimo spazio. Ricomincerà la tragica farsa tra il Viminale e il natante di turno e lo scarica barile, specialmente con Malta, riguardante il porto in cui farli sbarcare.

Così non si può continuare. Non tanto perché sussista un’emergenza “invasione”, i flussi sono in forte diminuzione da ben prima dei governi Gentiloni e dell’attuale – e, comunque, gli sbarchi più numerosi avvengono al di fuori delle operazioni di salvataggio delle ong – non tanto perchè le ong vengono guardate con sospetto (nonostante le inchieste a loro carico siano state archiviate) alimentando un clima maledettamente cupo confondendo vittime e carnefici, ma perché è il momento di abbandonare toni violenti e mettersi attorno a un tavolo per decidere il da farsi, fermando così derive estremiste e ondate d’odio nei confronti di chi si trova in contesti di disperazione. Sennò si diventa complici.

Chi vuole o deve scappare da situazioni di pericolo o di grande sofferenza non si fermerà né dinanzi ai porti chiusi – e, infatti, lo ripetiamo, gli sbarchi continuano come continuano i naufragi con i morti in mare – né si fermerà dinanzi a una legislazione nazionale improvvisamente restrittiva preferendo subire le conseguenze dello status di irregolare sebbene residente da anni e con un lavoro.

Del resto, è cronaca, il recente massacro al centro di detenzione di Tajoura, in Libia, con la minaccia di Tripoli di liberare tutti i migranti, confermano ciò che diverse autorità, a cominciare dall’Onu, affermano da tempo: la Libia è teatro bellico in cui i diritti umani non sono tutelati, anzi, sono calpestati, e quindi non è un porto sicuro. E’ importante sedersi attorno a un tavolo, in Europa e a livello internazionale, per dare una risposta a monte – non a valle erigendo muri e sbarrando i porti – al dramma della migrazione il cui elemento penale, dato dalla presenza certa di profittatori e mercanti di “carne umana”, è solo uno degli aspetti di una questione molto vasta e altamente drammatica.

La vicenda “Sea Watch” ha diviso il Paese, ha scatenato una tifoseria inaccettabile sfociata in un odio incontenibile nei confronti del gip di Agrigento che non ha convalidato l’arresto della comandante Carola Rackete, a sua volta oggetto di irripetibili insulti e che rimane indagata, e rigettato la richiesta della misura cautelare del divieto di dimora nella provincia agrigentina.

Le sentenze (in questo caso un’ordinanza che oggettivamente qualche punto controverso lo contiene relativo, a mio sommesso parere, alla corretta lettura della sentenza della Consulta n. 35/2000, richiamata dal giudice, sulla qualificazione di “nave da guerra” attribuibile o meno all’unità della GdF coinvolta) vanno sempre rispettate, anche quelle (nella fattispecie della Cassazione nell’eventualità che la Procura procedente voglia ricorrere) che dovessero riformare o bocciare provvedimenti giudiziali che a noi potevano apparire corretti.

Il ministro Salvini (in ascesa nei sondaggi) lo sa e dovrebbe astenersi da dichiarazioni velenose verso la magistratura che alimentano intolleranza, contrapposizioni e scontri fino a minare l’impalcatura fondamentale dello Stato di diritto poggiante sulla separazione dei poteri. Più voti non valgono il parcheggio della coscienza e nemmeno la svendita della Costituzione. Soprattutto, un Paese come l’Italia, particolarmente esposto al fenomeno – ma non siamo la nazione con più migranti nel rapporto con la popolazione, tutt’altro – dovrebbe lavorare incessantemente a soluzioni condivise – riforma del Trattato di Dublino, per fare un esempio, che impone al Paese di primo approdo di gestire tutti gli accessi e l’accoglienza impedendo un meccanismo obbligatorio di redistribuzione dei rifugiati nelle fasi critiche – partecipando agli incontri a tale scopo organizzati (invece è quasi sempre assente, e ciò la dice lunga sull’effettiva volontà di ricercare stabili collaborazioni europee) e aderendo a iniziative promosse dall’Onu, come il Global Compact per la Migrazione che intende fissare regole e impegni tra gli Stati membri in materia di migrazione. Sostanzialmente un accordo per sviluppare una politica di cooperazione internazionale per affrontare le molteplici dimensioni della migrazione mondiale.

L’Italia, dopo avere assicurato la firma, non ha aderito. Auguriamoci che le componenti più responsabili del governo giallo/verde, le stesse che ci hanno risparmiato la procedura d’infrazione per debito e deficit eccessivo, da Conte a Tria e a Moavero Milanesi, riescano nella difficile impresa di coniugare sicurezza e accoglienza, difesa degli interessi nazionali e diritti umani. Nel rispetto, però, dei principi della nostra Carta costituzionale e in una Europa solidale.

 


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